domenica 8 gennaio 2012

Enigma alawita

Il particolare magari è sconosciuto ai più, ma il regime siriano che alcuni, probabilmente non a torto, ritengono faccia parte a pieno titolo del cosiddetto “Asse del Male”, del tutto islamico islamico non è, quanto meno non in senso ortodosso. A prescindere dal fatto che Damasco è da decenni retta da una élite baathista almeno formalmente laica, il dato sorprendente è come di tale élite facciano parte molti alawiti, in un numero che proporzionalmente è davvero assai alto.
Ma chi sono gli alawiti (o alauiti che dir si voglia)? Storicamente, essi rappresentano un gruppo religioso mediorientale (null’altro che una setta per i mussulmani sunniti) diffuso principalmente in Siria. Bashar al-Assad, l’attuale presidente siriano, è un alawita, come, ovviamente, il padre Hafez al-Assad, nonché molti membri della nomenklatura siriana, una vera e propria lobby che da decenni ormai detiene il potere nel Paese mediorientale.
A lungo gli alawiti sono stati chiamati nusairi, namiriya o ansariyya, ma col il passare del tempo, nusairi è divenuto un termine spregiativo ed ormai essi preferiscono essere chiamati alawi (termine ufficialmente riconosciuto dai francesi quando nel 1920 occuparono la regione), soprattutto per sottolineare il legame con Ali, il cugino-cognato del Profeta Mohammad la cui figura è alla base dello scisma sciita.
L’origine della setta è da sempre oggetto di aspre divergenze d’opinione fra gli esperti. Secondo talune fonti, essi erano in origine dei nusayri, un gruppo scismatico degli sciiti duodecimani (IX secolo), ma gli alawiti fanno risalire le loro origini all’undicesimo imam sciita Hasan al-Askari (m. 873) ed al suo braccio destro Ibn Nusayr (m. 868). In realtà, pare che la setta sia stata organizzata in un secondo momento da un seguace di Ibn Nusayr, tale al-Khasibi, morto ad Aleppo intorno al 969. Un nipote di al-Khasibi, al-Tabarani, si sarebbe trasferito a Latakia, sulla costa siriana, e lì avrebbe gettato le basi teoretiche della fede nusayri e convertito la popolazione locale.
Secondo la vulgata più attendibile, quindi, gli alawiti vennero fondati nel X secolo, sotto gli hamdanidi di Aleppo, per venire poi perseguitati al crollo della dinastia, nel 1004. Durante la prima crociata, le truppe cristiane inizialmente li attaccarono, ma poi strinsero un’alleanza strategica in funzione anti-ismailita. Iniziò così una convulsa fase storica che portò gli alawiti ad essere sconfitti dagli ismailiti e dai curdi nel 1120 e, tre anni dopo, a vincere questi ultimi. Molto più tardi, nel 1297, si assistette ad un intelligente tentativo di fusione fra ismailiti e alawiti, tentativo che purtroppo non ebbe esito felice, pur essendo oltremodo evidenti le contiguità ideologiche fra i due gruppi.
Ma è sotto i mamelucchi che inizia una durissima repressione, che dal 1260 sostanzialmente giunge fino all’epoca moderna. Secondo alcune fonti, quando la Sublime Porta riuscì ad avere il completo controllo della Siria, nel 1516, oltre novantamila alawiti trovarono la morte. L’Impero ottomano perseguì una feroce politica discriminatoria contro gli alawiti e le loro terre furono confiscate e date in premio a dei coloni turchi, alcuni dei quali finirono comunque per convertirsi alla fede alawita.
Dopo il crollo dell’Impero successivo al primo conflitto mondiale, Siria e Libano vennero poste sotto il mandato internazionale di Parigi, che concesse ampia autonomia agli alawiti ed alle altre minoranze. La nuova situazione innescò un profondo desiderio di indipendenza nei capi tribù alawiti, che nel 1925 diedero vita al territorio degli “Alaouites”, cui nel 1930 fece seguito il Governo di Latakia, esperimento che ebbe fine ai primi del 1937.
Nel 1939 Parigi decise di cedere ai turchi una porzione della Siria nord-occidentale, scatenando la reazione degli alawiti. Un giovane capo tribale, Zaki al-Arsuzi, si pose alla guida del movimento di resistenza, acquisendo una certa notorietà. In seguito, insieme a Michel Aflaq, sarebbe divenuto uno dei fondatori del partito baathista.
A secondo conflitto mondiale finito, la Siria acquisì la completa indipendenza (16 aprile 1946) e le province alawite vennero inglobate nella nuova entità statale. Furono anni assai caotici per i siriani tutti. La guerra arabo-israeliana del 1948 per il controllo della Palestina produsse a Damasco tutta una serie di sanguinosi colpi di Stato militari. A calma riottenuta, si pensò di procedere sulla strada dell’audace sperimentazione geopolitica ideata da Nasser: la fusione di Egitto e Siria nella Repubblica Araba Unita (1958). L’unione resse appena tre anni e nel 1961, approfittando della nuova fase di confusione istituzionale, il partito Baath prese il potere grazie ad un comitato militare che vedeva fra i suoi membri diversi ufficiali alawiti, tra i quali il colonnello dell’Aeronautica Hafez al-Assad, il futuro “leone di Damasco”. Nel 1970 al-Assad prese il potere e l’anno successivo si proclamò presidente. Da allora gli alawiti dominano la Siria, dando vita al paradosso di un Paese sunnita guidato da una setta sciita.
A seguito delle loro fortune politiche, migliorò notevolmente anche l’immagine complessiva degli alawiti nel mondo islamico. Nel 1974, l’imam Musa al-Sadr, capo spirituale degli sciiti duodecimani libanesi, concedendo un riconoscimento atteso da circa un millennio, li definì ufficialmente veri mussulmani. Fu un passo di grande rilevanza per gli alawiti, considerato come fino a quel momento le autorità religiose islamiche, sia sciite che sunnite, si erano sempre rifiutate di considerarli dei correligionari.
Ad onor del vero, a tutt’oggi la gran parte del mondo sunnita e sciita rifiuta di riconoscere gli alawiti quali confratelli e ciò rende ancor più singolare la situazione siriana. La famiglia Assad è stata molto abile in questi ormai quasi quarant’anni di ininterrotto potere a promuovere la tolleranza religiosa in Siria, ma un regime change a Damasco potrebbe anche produrre un crollo verticale della condizione degli alawiti, per i quali non sarebbe da escludere, una volta caduto al-Assad, un nuovo periodo di persecuzioni.
Com’è facile immaginare, la maggioranza dei sunniti siriani faticò non poco ad accettare l’idea degli alawiti al potere. Il gruppo terroristico dei Fratelli Musulmani cercò quindi di porre rimedio all’inedita situazione con un clamoroso attentato ad Hafez al-Assad il 25 giungo 1980. Il pretesto fu l’eliminazione dalla Costituzione siriana dell’articolo che definiva l’Islam religione di Stato (per tacere del fatto che al-Assad non era considerato un mussulmano). L’attentato fallì ed il Leone di Damasco rispose con un vero e proprio massacro nella roccaforte sunnita di Hama, con oltre 10.000 persone uccise, molte delle quali simpatizzanti dei Fratelli Mussulmani. Dopo questi terribili eventi, i sunniti giocoforza finirono con l’accettare lo status quo.
Nel corso degli anni, la famiglia al-Assad si è molto impegnata per garantire alle varie tribù una giusta rappresentanza ai vertici delle Forze Armate, nello stesso modo in cui ha sempre cercato di ripartire equamente gli incarichi governativi fra i numerosi gruppi etnici e religiosi che compongono la variegata galassia siriana. Negli ultimi mesi, però, per la prima volta dopo decenni di potere, gli alawiti hanno cominciato a temere seriamente il crollo del regime, crollo che li trascinerebbe tutti nella polvere in men che non si dica.
Ma, a ben vedere, questo periodo di ribalta e dominio non rappresenta poi molto rispetto al millennio di sanguinose lotte per la propria identità vissuto dagli alawiti. Con un pizzico di cinismo si può affermare come, una volta disarcionato il giovane presidente, essi semplicemente torneranno ad essere quello che sono sempre stati, una goccia eretica nel mare della Siria sunnita.
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Cenni demografici
In Siria, gli alawiti vivono oggi nelle montagne e lungo la costa del Mar Mediterraneo, concentrati prevalentemente nelle città di Latakia e Tartus, nonché nelle piane attorno ad Hama e Homs. In ogni caso, coerentemente con il loro status di élite di potere, sono diffusi anche in tutte le altre principali città del Paese, soprattutto nella capitale Damasco. Le stime demografiche sul loro numero variano tra 1.5 e 1.8 milioni, ossia circa il 12% dell’intera popolazione siriana. Inoltre, ci sono circa 100.000 alawiti che vivono il Libano ed altri che vivono nelle regioni di Hatay, Adana e Mersin, nella Turchia meridionale.
La dottrina
Tradizionalmente gli alawiti si dividono in cinque diramazioni: ghaybiyya, haydariyya, murshidi (da Sulayman al-Murshid), shamsiyya (setta del Sole) e qamariyya (setta della Luna). Questi rivoli, per così dire, seguono una suddivisione prevalentemente tribale, ancora molto forte in Siria.
La religione alawita ha molte similitudini con l’Ismailismo. Come gli sciiti ismailiti, gli alawiti credono in un sistema di incarnazione divina, così come ad una lettura prevalentemente esoterica del Corano. Contrariamente agli ismailiti, però, gli alawiti considerano Ali come una delle incarnazioni della triade divina: Ali è il Significato, Muhammad, che Ali creò con la sua luce, è il Nome e Salman al-Farisi il Cancello.
La religione alawita è ammantata nel più assoluto riserbo e gli alawiti oggi non accettano convertiti, né consentono la pubblicazione dei loro testi sacri. Risultato di tale scelta di segretezza è che la gran parte degli alawiti stessi conosce ben poco della propria dottrina, custodita gelosamente da una ristretta cerchia di iniziati di sesso maschile.
Del resto, la teologia alawita sembra basarsi prevalentemente sullo gnosticismo e sul tesi assai vicine al neoplatonismo. Secondo la cosmogonia alawita, in principio tutte le persone erano delle stelle in un mondo di luce, ma a causa di un atto di disobbedienza precipitarono dal firmamento. La visione gnostica si evidenzia soprattutto nella teoria del mondo materiale visto quale luogo impuro costellato di mortali pericoli.
Considerata la natura altamente sincretistica della dottrina alawita (secondo diverse fonti, i loro riti comprenderebbero addirittura frammenti millenari dei rituali sacrificali fenici), non manca chi, fra gli studiosi, sostiene una correlazione fra i cristiani e gli alawiti. Del resto, questi ultimi adorano una loro Trinità, utilizzano il vino durante alcune celebrazioni liturgiche e riconoscono il Natale. I punti di distanza con la vulgata mussulmana sono tali che agli inizi degli anni Venti i francesi cercarono addirittura di spingere i principali shaykh alauiti a dichiarare la propria religione distinta dall’Islam, anzi, proprio non-musulmana. Le autorità religiose alawiti rifiutarono, preferendo mantenere la propria identità storica. Cionondimeno, negli ultimi decenni gli alawiti hanno pagato un prezzo assai alto per il successo politico, di fatto negando la loro distintiva tradizione religiosa e quasi finendo per convertirsi all’Islam sunnita.
Apparso su il Domenicale di sabato 15 aprile 2006 con il medesimo titolo



Bashar al-Assad

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