
venerdì 12 agosto 2011
TUTTE TOGHE ROSSE ?

Documento di 20 compagni di Magistratura democratica
La nostra presenza all'interno di un settore, la Magistratura, ancora una volta sottoposta a pressioni per le nuove dimensioni dello scontro sociale in atto, ci spinge a proporre alle forze della sinistra una riflessione sui dati di realtà sociale con cui quotidianamente ci confrontiamo. Un'importante occasione di dibattito ci pare è auspicabile, riesca ad assumere dimensioni di massa e che è importante arricchire il convegno di Bologna del 23 25 settembre prossimo, si tratta di una scadenza che di contributi da esperienze di lavoro politico e professionale; oltre che di quelle provenienti dai diretti protagonisti delle lotte degli ultimi mesi.
Siamo consapevoli dei rischi di strumentalizzazione di parte o di generazioni avventuristiche che aleggiano, anche se ingigantiti da una stampa interessata, intorno al convegno di Bologna. Sono comunque pericoli che non possono essere su,perati né da una ghettizzazione delle forze sociali e politiche che agiscono all'interno del convegno, né tanto meno da una aprioristica attribuzione a queste forze di un ruolo e di una volontà di provocazione.
Essenziale, viceversa, è assicurare tutte quelle presenze che riescano ad inserirsi nella domanda di dibattito politico posta dal movimento come una sua esigenza reale. In questo senso rivolgiamo questa riflessione anche ai compagni che militano nell'area della sinistra storica, che riteniamo debbano essere investiti dal dibattito. Questo anche per accettare, come intellettuali, l'invito a « sporcarsi » cioé a confrontarsi, pur da posizioni divergenti, con le varie forze della sinistra.
Ancora una volta è di attualità il tema della repressione e dell'assetto dello stato. Una risposta agli interrogativi che su questo tema si sono proposti non può che prendere le mosse dalla profonda svolta politica che l'accordo a sei ha ufficialmente sancito.
Per questa via si sta producendo un profondo processo di impoverimento di quegli strumenti ideologici che in passato avevano consentito alla classe operaia di bloccare gli attacchi più massicci portatele contro in questi anni.
Ad esempio, ieri si individuava con chiarezza il preciso segno di classe nella gestione della strategia della tensione. Oggi, gli episodi di cui quella stessa strategia continua ad alimentarsi, sono attribuiti genericamente all'azione di un oscuro nemico di tutte le classi o di una tessitura di trame importate dall'estero, trascurando di individuare la matrice politica. Alla denunzia del ruolo giocato dai vari apparati dello stato nell'attacco si è sovrapposto il concetto acritico di istituzione il cui segno è comunque democratico anche quando la struttura interna, i metodi di gestione, la incapacità di aprirsi ad un controllo popolare sono rimasti sostanzialmente immutati.
La preoccupazione conseguente all'accordo a sei di mantenere il difficile equilibrio tra le forze politiche, porta all'indebolimento anche di quelle forze innovatrici interne alle istituzioni, come Magistratura democratica, che non possono contare su di un referente politico nella loro opposizione alla natura gerarchica, burocratica, accentratrice dello stato.
Tutto il fronte delle lotte nelle istituzioni risulta d'altro canto fiaccato. Sono molteplici e vari i segni di questa generale smobilitazione del controllo democratico sulle istituzioni, che l'accordo impone. Essi vanno dalla prudenza che caratterizza la denunzia delle responsabilità democristiane nei processi per le trame fasciste e golpiste, al mancato approfondimento delle collusioni governative nella fuga di Kappler, al prevedibile affossamento dello scandalo di regime connesso al caso Lockheed. Il malcostume amministrativo e le ruberie di Stato rivelatisi in Friuli e nelle spartizioni di fette di potere economico, non hanno inoltre visto momenti di opposizione tali da risolversi almeno in un principio di mutamento delle prassi di potere sin qui seguite dalla classe dirigente.
Le illegalità innegabili
L'impiego di squadre speciali di poliziotti, la soppressione per un mese del diritto di manifestazione a Roma, la creazione di carceri « speciali » rappresentano innegabili illegalità e producono, con l'acquiescenza che accompagna questi episodi, un allarmante fenomeno di assuefazione alla criminalità del potere ed alla brutalità degli apparati. La tendenza controriformatrice in atto dal 1974, che ha comportatl) non solo il blocco di ogni proposta innovatrice come il nuovo Codice di Procedura Penale ma un arretramento della legislazione rispetto allo stesso codice Rocco, ha trovato, nell'accordo a sei, la sua definitiva sanzione politica e la premessa per ulteriori gravi sviluppi. L'accordo ha avuto un principio di attuazione 1'8 agosto scorso, con l'approvazione in commissione e quindi senza dibattito in aula, di tre leggi che ribadiscono la tendenza a scaricare autoritariamente sugli « utenti » I'inefficienza della macchina giudiziaria e introducono nuovi strumenti di repressione facilmente utilizzabili contro il dissenso politico e le lotte sociali (aggravamento di pena e arresto in flagranza per l'uso di caschi, sequestro e confisca dei covi).
Un'altra legge relativa ai permessi ai detenuti ha di fatto vanificato la più importante innovazione della riforma carceraria, riducendo le ipotesi in cui è possibile concedere i permessi e frapponendo ostacoli alla pratica usufruibilità da pare degli interessati. Altri e più autoritari progetti, tra cui il famigerato fermo di polizia, I'estensione delle perquisizioni e delle intercettazioni, sono in cantiere nel.'agenda parlamentare o governativa.
Situazione grave
L'involuzione del quadro costituzionale determinata da questa legislazione è sempre più spesso giustificata come una necessità: la difesa dello Stato contro l'eversione crescente. Si tratta di una parola d'ordine che apre la via allo scivoloso terreno delle abdicazioni dei diritti costituzionali, secondo una tendenza ormai generale in tutti i paesi di capitalismo avanzato.
Ma anche sul piano dell'efficienza repressiva si tratta di risposte destinate a non raggiungere lo scopo, perché incapaci di fronteggiare fenomeni che hanno origine precisa nella marginalizzazione crescente di larghe masse, espulse o mai entrate nel processo produttivo, e rese disperate dalla disgregazione politica e culturale.
Contro chi non si allinea prontamente all'interno delle istituzioni a questa ideologia dell'ordine e dello stato di emergenza, vengono messe in atto misure più drastiche di persuasione: i giudici di sorveglianza rei di una applicazione liberale della riforma carceraria, vengono puniti con la sospensione dell'incarico una intera corrente di magistrati, che aveva avanzato preoccupazioni sulla involuzione del quadro politico e legislativo, viene tenuta sotto la costante minaccia di sanzioni disciplinari.
La stabilità politica è assunta come valore fondamentale: le lotte sociali e le proteste politiche, indotte dai sempre crescenti bisogni (manifestazioni dei disoccupati, occupazioni di case, proteste giovanili, ecc.) sono così in questi ultimi mesi divenute le punte di emersione della nuova « criminalità » politica. I preoccupanti livelli di repressione risultanti da questo quadro, la mancanza di una forza politica di reale opposizione che si faccia carico di un controllo sugli apparati statali ci sembrano i connotati più gravi della situazione: è su questi dati che riteniamo di dover richiamare l'attenzione e il dibattito all'interno della sinistra.
Giangiulio Ambrosini
Diego Benanti
Antonio Bevere
Romano Canosa
Corradino Castriota
Gabriele Cerminara
Fausto Ciuchini
Giuseppe Di Lello
Gaetano Dragotto
Aurelio Galasso
Bianca Lamonaca
Franco Misiani
Franco Marrone
Riccardo Morra
Filippo Paone
Ernesto Rossi
Luigi Saraceni
Gianfranco Viglietta
Aldo Vitozzi
Massimo Gaglione (tutti di Magistratura Democratica).
COSA PENSATE DELLA ASOCIAZIONE MAGISTRATURA DEMOCRATICA
Fra gli organismi associativi della magistratura, Magistratura democratica si caratterizza per un'ispirazione ideologica maggiormente di sinistra ed improntata alla difesa dell'autonomia e indipendenza del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello stato, in un'ottica che per questo in passato ha spesso trovato punti di corrispondenza nell'azione politica del Partito Comunista Italiano e della sinistra extraparlamentare, e di partiti quali Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani e le correnti di sinistra del Partito Democratico nel contesto politico attuale. MD è stata fondata a Bologna il 4 luglio 1964, e ha visto progressivamente crescere il proprio peso all'interno dell'Associazione Nazionale Magistrati. Nel 1969 una scissione interna ha dimezzato i risultati alle elezioni dell'ANM del 1970 rispetto alle precedenti. Gli aderenti a MD si divisero in due parti: la prima rimase appunto all'interno di Magistratura Democratica, la seconda (guidata da Adolfo Beria d’Argentine) uscì da MD e confluì nel movimento "Impegno Costituzionale". Il gruppo di "Impegno Costituzionale" contestava lo spirito fanatico e antidemocratico dei membri di MD, e in particolare l'atteggiamento di ambiguità o di approvazione nei confronti dei militanti violenti delle organizzazioni di estrema sinistra e del nascente terrorismo [1]. Nelle elezioni del 1999 e del 2003 è risultata seconda dietro al gruppo Unità per la Costituzione. MD è inserita nel circuito Medel (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés), una rete di associazioni di magistrati di vari Paesi europei.
Magistratura democratica ha circa 900 aderenti in tutta Italia.
Gli Organi di Magistratura democratica sono: - Il Congresso costituito da tutti gli iscritti, che possono partecipare personalmente o a mezzo di delegati eletti secondo le norme dello statuto dell'Anm; ogni delegato non può rappresentare più di dieci aderenti; - Il Consiglio Nazionale composto da venti consiglieri, dieci uomini e dieci donne, eletti ogni due anni durante il Congresso; - Il Comitato Esecutivo composto dal Segretario Generale e da nove membri, eletti fra i componenti del Consiglio Nazionale; è presieduto dal Segretario Nazionale; - Le sezioni, costituite nell'ambito territoriale di ciascun distretto di corte d'appello o di più distretti finitimi; ogni assemblea di Sezione designa al suo interno un Segretario; le sezioni hanno una loro autonoma organizzazione interna.
I componenti del Consiglio Nazionale eletti dal XVI Congresso Nazionale, tenutosi a Roma dall'8 all'11 febbraio 2007, sono: Marisa Acagnino, Silvia Albano, Vittorio Borraccetti, Edmondo Bruti Liberati, Daniele Cappuccio, Linda D'Ancona, Donatella Donati, Valeria Fazio, Gianfranco Gilardi, Maria Rosaria Guglielmi, Giovanna Ichino, Manuela Massenz, Francesco Menditto, Luca Minniti, Rita Sanlorenzo, Giuseppe Santalucia, Emilio Sirianni, Anna Luisa Terzi, Fabrizio Vanorio e Francesco Vigorito. Il 3 marzo 2007 il Consiglio Nazionale ha poi eletto: il Presidente Edmondo Bruti Liberati ed il Segretario Generale Rita Sanlorenzo. Il Comitato esecutivo centrale, eletto il 3 marzo 2007, è composto dal Segretario Generale Rita Sanlorenzo e da: Marisa Acagnino, Silvia Albano, Linda D'Ancona, Donatella Donati, Valeria Fazio, Luca Minniti, Giuseppe Santalucia, Emilio Sirianni, Fabrizio Vanorio. Tesoriere nazionale è stato nominato
Magistratura democratica ha circa 900 aderenti in tutta Italia.
Gli Organi di Magistratura democratica sono: - Il Congresso costituito da tutti gli iscritti, che possono partecipare personalmente o a mezzo di delegati eletti secondo le norme dello statuto dell'Anm; ogni delegato non può rappresentare più di dieci aderenti; - Il Consiglio Nazionale composto da venti consiglieri, dieci uomini e dieci donne, eletti ogni due anni durante il Congresso; - Il Comitato Esecutivo composto dal Segretario Generale e da nove membri, eletti fra i componenti del Consiglio Nazionale; è presieduto dal Segretario Nazionale; - Le sezioni, costituite nell'ambito territoriale di ciascun distretto di corte d'appello o di più distretti finitimi; ogni assemblea di Sezione designa al suo interno un Segretario; le sezioni hanno una loro autonoma organizzazione interna.
I componenti del Consiglio Nazionale eletti dal XVI Congresso Nazionale, tenutosi a Roma dall'8 all'11 febbraio 2007, sono: Marisa Acagnino, Silvia Albano, Vittorio Borraccetti, Edmondo Bruti Liberati, Daniele Cappuccio, Linda D'Ancona, Donatella Donati, Valeria Fazio, Gianfranco Gilardi, Maria Rosaria Guglielmi, Giovanna Ichino, Manuela Massenz, Francesco Menditto, Luca Minniti, Rita Sanlorenzo, Giuseppe Santalucia, Emilio Sirianni, Anna Luisa Terzi, Fabrizio Vanorio e Francesco Vigorito. Il 3 marzo 2007 il Consiglio Nazionale ha poi eletto: il Presidente Edmondo Bruti Liberati ed il Segretario Generale Rita Sanlorenzo. Il Comitato esecutivo centrale, eletto il 3 marzo 2007, è composto dal Segretario Generale Rita Sanlorenzo e da: Marisa Acagnino, Silvia Albano, Linda D'Ancona, Donatella Donati, Valeria Fazio, Luca Minniti, Giuseppe Santalucia, Emilio Sirianni, Fabrizio Vanorio. Tesoriere nazionale è stato nominato
TOGHE EVERSIVE, ECCO PERCHE' SERVE UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Da "IL GIORNALE" di martedì 10 maggio 2011
Toghe eversive, ecco perché serve una commissione d`inchiesta Il premier rilancia: KVer ficare l`esistenza di un`associazione a delinquere fra i Pw Nello statuto di Magistratura democratica la conferma della loro militanza politica Anna Maria Greco Roma Silvio Berlusconi vuole «una commissione d`inchiestaper evidenziare se all`interno della magistratura ci sia un`associazione con fini a delinquere».
Il premier ne parla uscendo dal tribunale di Milano, dopo l`udienza del processo Mills, ma non è una novità assoluta se l`ultima proposta di legge sull`uso politico della giustizia, presentata a febbraio 2010 da Jole Santelli e Giorgio Stracquadanio, ripropone quella firmata da Fabrizio Cicchetto e Michele Saponara nel 2001.
Il Cavaliere e i suoi pensano a quella magistratura militante, con le bandiere rosse e lo spirito fortemente ideologizzato, che da sempre è stata in stretto collegamento con il Pci prima e i suoi eredi poi, fino all`attuale Pd, ma anche con Rifondazione comunista, Pdci e alcune forze extraparlamentari.
Chi si sorprende e si sgomenta, come Osvaldo Napoli del Pdl, di fronte al documento costitutivo di Magistratura democratica, forse non ha seguito negli anni la storia del collateralismo politico di questa corrente di sinistra delle toghe.
Il vicepresidente dei deputati pidiellini invita tutti a rileggere quel testo, mentre si onorano i magistrati vittime del terrorismo e infuri ala polemica, con il solito Umberto Bossi che prende le distanze: «Commissione d`inchiesta? Non so cosa sia. Non parlo di magistrati, perché ce n`è qualcuno stronzo ma uno non può dire che siano tutti stronzi».
Più che un sindacato, Md in effetti appare come una formazione «combattente» che vuole attuare un ben preciso modello politico-sociale. «Occorre rendere esplicito - si legge nell`atto di nascita - il fondamento ideologico degli obiettivi che l`associazione propugna. In altre parole oc- corre inserire codesti obiettivi in un`organica concezione della società e dello Stato».
Dalla fondazione a Bologna nel 1964, la corrente negli anni si organizza, meticolosamente e capillarmente sul territorio, per reclutare, formare, indottrinare e pungolare schiere di magistrati «impegnati» in un preciso progetto politico.
Dice ancora l`atto di fondazione:
«Il movimento si pone di indirizzare l`attività associativa ad una radicale svolta che la situazione generale del Paese e le aspettative in essa prepotentemente affiorate rivelano ormai matura. Tali aspettative si concretano nella richiesta ogni ora più pressante di rottura delle strutture istituzionali ereditate da un lontano e tragico passato e nella esigenza di instaurare la nuova tavola di valori scaturita dalla Resistenza e consacrata nella Costituzione».
Bastano pochi anni adAdolfo Beria d`Argentine per capi- re che Md è troppo organica al partito della falce e martello e addirittura vicina a forze extraparlamentari così fanatiche e violente da fiancheggiare il terrorismo. È lui, nel 1969 a guidare gli scissionisti che lasciano la corrente e fondano il movimento «Impegno costituzionale».
Md negli anni si alimenta agli scritti di giuristi come Franco Bricola, Giorgio Ghezzi, Stefano Rodotà, Franco Cordero, Gustavo Zagrebelsky.
E continua a richiedere una precisa scelta di campo ai suoi iscritti, superando i timori di eventuali accuse. «Il superamento del piano corporativo - dice ancora l`atto fondativo - inevitabilmente comporta una presa di posizione ideo logica, perché ad essa ci si è sempre inconsciamente o consciamente sottratti evidentemente nell`erroneo timore che l`affrontarla conducesse ad assumere una qualificazione politica determinata».
Un timore, viene da dire, non così erroneo.
IN ROSSO È ancora scontro fra Silvio Berlusconi e i magistrati di Milano Durante una pausa dei processo Mills il premier ha auspicato la creazione di una commissione d`inchiesta suiruso politico della giustizia.
A Montecitorio c`è già una proposta del Pdl per istituirla [Ansa] Quaranta onorevoli 007 per indagare sui rapporti tra giudici e partiti Presentata alla Camerail4 febbraio 2010, la proposta di legge che ha come prima firmataria Jole Santelli (Pdl) prevedeunacommissione di inchiesta sull`uso politico della giustizia. Sarebbe formata da 20 senatori e 20 deputati, scelti dai presidenti delle Camere in modo proporzionale alle forze politiche. Entro un anno dovrebbe accertare:
irapportifra partitie magistratura;
presunti obiettivi politici delle toghe; l`influenza delle correnti su giudici e pm; l`esistenza di casi di esercizio mirato dell`azione penale; l`esistenza dicasi dimancato o ritar dato esercizio dell`azione penale afini extragiudiziari;
se singoli esponenti o gruppi nella magistratura abbiano agito per interferire con l`attività parlamentare e di governo; se e come vada riformato l`ordinamento giudiziario e le procedure penali e civili per «garantire il funzionamento equo, celere e imparziale della giustizia». La commissione avrebbe gli stessi poteri dell`autorità giudiziaria per svolgere le indagini.
Di fronte a essa non si potrebbe opporre il segreto di Stato.
Toghe eversive, ecco perché serve una commissione d`inchiesta Il premier rilancia: KVer ficare l`esistenza di un`associazione a delinquere fra i Pw Nello statuto di Magistratura democratica la conferma della loro militanza politica Anna Maria Greco Roma Silvio Berlusconi vuole «una commissione d`inchiestaper evidenziare se all`interno della magistratura ci sia un`associazione con fini a delinquere».
Il premier ne parla uscendo dal tribunale di Milano, dopo l`udienza del processo Mills, ma non è una novità assoluta se l`ultima proposta di legge sull`uso politico della giustizia, presentata a febbraio 2010 da Jole Santelli e Giorgio Stracquadanio, ripropone quella firmata da Fabrizio Cicchetto e Michele Saponara nel 2001.
Il Cavaliere e i suoi pensano a quella magistratura militante, con le bandiere rosse e lo spirito fortemente ideologizzato, che da sempre è stata in stretto collegamento con il Pci prima e i suoi eredi poi, fino all`attuale Pd, ma anche con Rifondazione comunista, Pdci e alcune forze extraparlamentari.
Chi si sorprende e si sgomenta, come Osvaldo Napoli del Pdl, di fronte al documento costitutivo di Magistratura democratica, forse non ha seguito negli anni la storia del collateralismo politico di questa corrente di sinistra delle toghe.
Il vicepresidente dei deputati pidiellini invita tutti a rileggere quel testo, mentre si onorano i magistrati vittime del terrorismo e infuri ala polemica, con il solito Umberto Bossi che prende le distanze: «Commissione d`inchiesta? Non so cosa sia. Non parlo di magistrati, perché ce n`è qualcuno stronzo ma uno non può dire che siano tutti stronzi».
Più che un sindacato, Md in effetti appare come una formazione «combattente» che vuole attuare un ben preciso modello politico-sociale. «Occorre rendere esplicito - si legge nell`atto di nascita - il fondamento ideologico degli obiettivi che l`associazione propugna. In altre parole oc- corre inserire codesti obiettivi in un`organica concezione della società e dello Stato».
Dalla fondazione a Bologna nel 1964, la corrente negli anni si organizza, meticolosamente e capillarmente sul territorio, per reclutare, formare, indottrinare e pungolare schiere di magistrati «impegnati» in un preciso progetto politico.
Dice ancora l`atto di fondazione:
«Il movimento si pone di indirizzare l`attività associativa ad una radicale svolta che la situazione generale del Paese e le aspettative in essa prepotentemente affiorate rivelano ormai matura. Tali aspettative si concretano nella richiesta ogni ora più pressante di rottura delle strutture istituzionali ereditate da un lontano e tragico passato e nella esigenza di instaurare la nuova tavola di valori scaturita dalla Resistenza e consacrata nella Costituzione».
Bastano pochi anni adAdolfo Beria d`Argentine per capi- re che Md è troppo organica al partito della falce e martello e addirittura vicina a forze extraparlamentari così fanatiche e violente da fiancheggiare il terrorismo. È lui, nel 1969 a guidare gli scissionisti che lasciano la corrente e fondano il movimento «Impegno costituzionale».
Md negli anni si alimenta agli scritti di giuristi come Franco Bricola, Giorgio Ghezzi, Stefano Rodotà, Franco Cordero, Gustavo Zagrebelsky.
E continua a richiedere una precisa scelta di campo ai suoi iscritti, superando i timori di eventuali accuse. «Il superamento del piano corporativo - dice ancora l`atto fondativo - inevitabilmente comporta una presa di posizione ideo logica, perché ad essa ci si è sempre inconsciamente o consciamente sottratti evidentemente nell`erroneo timore che l`affrontarla conducesse ad assumere una qualificazione politica determinata».
Un timore, viene da dire, non così erroneo.
IN ROSSO È ancora scontro fra Silvio Berlusconi e i magistrati di Milano Durante una pausa dei processo Mills il premier ha auspicato la creazione di una commissione d`inchiesta suiruso politico della giustizia.
A Montecitorio c`è già una proposta del Pdl per istituirla [Ansa] Quaranta onorevoli 007 per indagare sui rapporti tra giudici e partiti Presentata alla Camerail4 febbraio 2010, la proposta di legge che ha come prima firmataria Jole Santelli (Pdl) prevedeunacommissione di inchiesta sull`uso politico della giustizia. Sarebbe formata da 20 senatori e 20 deputati, scelti dai presidenti delle Camere in modo proporzionale alle forze politiche. Entro un anno dovrebbe accertare:
irapportifra partitie magistratura;
presunti obiettivi politici delle toghe; l`influenza delle correnti su giudici e pm; l`esistenza di casi di esercizio mirato dell`azione penale; l`esistenza dicasi dimancato o ritar dato esercizio dell`azione penale afini extragiudiziari;
se singoli esponenti o gruppi nella magistratura abbiano agito per interferire con l`attività parlamentare e di governo; se e come vada riformato l`ordinamento giudiziario e le procedure penali e civili per «garantire il funzionamento equo, celere e imparziale della giustizia». La commissione avrebbe gli stessi poteri dell`autorità giudiziaria per svolgere le indagini.
Di fronte a essa non si potrebbe opporre il segreto di Stato.
DALL'INTOLLERANZA RELIGIOSA ALLA TOLLERANZA
DALL'INTOLLERANZA RELIGIOSA ALLA TOLLERANZA
A cura di Nunzio Angiolilli
Definizione del concetto di tolleranza
La tolleranza viene definita come un atteggiamento o uno stato d’animo per il quale si ammette che altri professino differenti principi religiosi, etici, politici. In senso stretto essa non è una virtù poiché ha come oggetto un male che viene tollerato per necessità variamente motivate e fondate che non portano mai ad un’autentica e piena affermazione di ciò che è tollerato. Nonostante tale definizione essenzialmente negativa di tolleranza, tuttavia si riconosce a quest’ultima una funzione positiva: la tolleranza permette infatti che esista una pluralità di posizioni e quindi di opinioni in tutti i campi dove essa sia esercitata. Contribuisce perciò alla ricerca della verità, alla quale si rapporta in modo dialettico.
Sviluppi del dibattito sul concetto di tolleranza
Nascita del principio di tolleranza La questione della tolleranza inizia ad essere discussa soprattutto in Francia, Inghilterra e Boemia (stati in cui si affermano diversi punti di vista religiosi) intorno al XVI secolo, periodo ricco di avvenimenti come la Riforma, la Controriforma, la costituzione degli stati assoluti e le guerre per il predominio europeo. L’omogeneità ideologica e culturale viene meno con l’indebolirsi dell’Impero e con la nascita di confessioni diverse da quella cattolica, che proprio in questo periodo conoscono la loro diffusione. Ciò dimostra come sia inizialmente l’ambito religioso quello ad essere interessato al problema della tolleranza: la teoria della tolleranza religiosa stabilisce che è meglio astenersi dal perseguire posizioni morali o religiose giudicate riprovevoli. In questo caso la scelta di tollerare è vista come il minore dei mali, perché la repressione delle idee contrastanti provocherebbe problemi ancora peggiori. Un precursore della teoria della tolleranza religiosa fu Marsilio da Padova (1275-1343), che sosteneva la validità di un metodo di insegnamento e di correzione piuttosto di uno che imponesse la fede per coercizione; la fede imposta con la forza non procura la salvezza dell’anima. Inoltre, nel suo Defensor Pacis, viene attribuita una qualche validità anche a convinzioni e regole che esulano dalla rispondenza stretta dalla verità proclamata dalla Chiesa. Un’altra tappa principale dello sviluppo del principio della tolleranza è l’Umanesimo. Esso favorisce la dimensione interiore dell’individuo per il raggiungimento della tranquillità con Cristo. Sempre in campo umanistico prende poi corpo un significato ideologico-politico della religione come forma di controllo sulle masse. Una delle cause del fanatismo religioso, questione particolarmente dibattuta dal protestantesimo, deriva dallo scontro fra una concezione umanistica della religione (che propone un libero esame nel rapporto uomo-Dio) e una assolutistica (che nega, considerandolo un crimine, tale libero esame). Il fenomeno del fanatismo è da intendere diversamente nella confessione protestante e in quella cattolica: nella prima si attua la persecuzione poiché il dissenso viene visto come un crimine contro le istituzioni, mentre nella seconda si afferma la cultura del sospetto che ha il suo strumento nell’Inquisizione.
A cura di Nunzio Angiolilli
Definizione del concetto di tolleranza
La tolleranza viene definita come un atteggiamento o uno stato d’animo per il quale si ammette che altri professino differenti principi religiosi, etici, politici. In senso stretto essa non è una virtù poiché ha come oggetto un male che viene tollerato per necessità variamente motivate e fondate che non portano mai ad un’autentica e piena affermazione di ciò che è tollerato. Nonostante tale definizione essenzialmente negativa di tolleranza, tuttavia si riconosce a quest’ultima una funzione positiva: la tolleranza permette infatti che esista una pluralità di posizioni e quindi di opinioni in tutti i campi dove essa sia esercitata. Contribuisce perciò alla ricerca della verità, alla quale si rapporta in modo dialettico.
Sviluppi del dibattito sul concetto di tolleranza
Nascita del principio di tolleranza La questione della tolleranza inizia ad essere discussa soprattutto in Francia, Inghilterra e Boemia (stati in cui si affermano diversi punti di vista religiosi) intorno al XVI secolo, periodo ricco di avvenimenti come la Riforma, la Controriforma, la costituzione degli stati assoluti e le guerre per il predominio europeo. L’omogeneità ideologica e culturale viene meno con l’indebolirsi dell’Impero e con la nascita di confessioni diverse da quella cattolica, che proprio in questo periodo conoscono la loro diffusione. Ciò dimostra come sia inizialmente l’ambito religioso quello ad essere interessato al problema della tolleranza: la teoria della tolleranza religiosa stabilisce che è meglio astenersi dal perseguire posizioni morali o religiose giudicate riprovevoli. In questo caso la scelta di tollerare è vista come il minore dei mali, perché la repressione delle idee contrastanti provocherebbe problemi ancora peggiori. Un precursore della teoria della tolleranza religiosa fu Marsilio da Padova (1275-1343), che sosteneva la validità di un metodo di insegnamento e di correzione piuttosto di uno che imponesse la fede per coercizione; la fede imposta con la forza non procura la salvezza dell’anima. Inoltre, nel suo Defensor Pacis, viene attribuita una qualche validità anche a convinzioni e regole che esulano dalla rispondenza stretta dalla verità proclamata dalla Chiesa. Un’altra tappa principale dello sviluppo del principio della tolleranza è l’Umanesimo. Esso favorisce la dimensione interiore dell’individuo per il raggiungimento della tranquillità con Cristo. Sempre in campo umanistico prende poi corpo un significato ideologico-politico della religione come forma di controllo sulle masse. Una delle cause del fanatismo religioso, questione particolarmente dibattuta dal protestantesimo, deriva dallo scontro fra una concezione umanistica della religione (che propone un libero esame nel rapporto uomo-Dio) e una assolutistica (che nega, considerandolo un crimine, tale libero esame). Il fenomeno del fanatismo è da intendere diversamente nella confessione protestante e in quella cattolica: nella prima si attua la persecuzione poiché il dissenso viene visto come un crimine contro le istituzioni, mentre nella seconda si afferma la cultura del sospetto che ha il suo strumento nell’Inquisizione.
La Famiglia della Boccassini
Il paragone fra certi p.m. di Magistratura Democratica e gli estremisti della Brigate Rosse è sicuramente improprio ma il fanatismo e la propensione agli affari degli uni e degli altri è sicuramente simile.
Ilda Boccassini appartiene a una delle famiglie di magistrati più corrotte della storia d'Italia. Suo zio Magistrato Nicola Boccassini fu arrestato e condannato per associazione a delinquere, concussione corruzione, favoreggiamento e abuso di ufficio perchè spillò con altri sodali e con ricatti vari 186 milioni di vecchie lire a un imprenditore. Vedi: [ricerca.repubblica.it] (vendeva processi per un poker repubblica)
Anche suo padre Magistrato e suo cugino acquisito Attilio Roscia furono inquisiti. Suo marito Alberto Nobili fu denunciato alla procura di Brescia da Pierluigi Vigna, Magistrato integerrimo e universalmente stimato per presunte collusioni con gli affiliati di Cosa Nostra che gestivano l'Autoparco Milanese di via Salamone a Milano. Vedi: [ricerca.repubblica.it] (attacco ai giudici di Milano Repubblica) [ricerca.repubblica.it] (Brescia torna inchiesta autoparco). Non se ne fece niente perchè la denuncia finì nelle mani del giudice Fabio Salomone, fratello di Filippo Salomone, imprenditore siciliano condannato a sei anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso. Vedi: [www.antoniodipietro.com]
L'Autoparco milanese di via Salomone era un crocevia di armi e di droga ha funzionato per 9 anni di seguito (dal 1984 al 1993), fu smantellato dai magistrati fiorentini e non da quelli milanesi e muoveva 700 milioni di vecchie lire al giorno. A Milano tutti sapevano che cosa si faceva lì dentro.
Visto ciò che è emerso a carico del marito per l'Autoparco e visto ciò che sta emergendo a carico del giudice Francesco Di Maggio (anche lui della Procura di Milano) relativamente alla strage di Capaci (Vedi [www.19luglio1992.com]) anche il suo trasferimento a Caltanisetta nel 1992 appare sospetto.
In realtà a quel tempo sei magistrati massoni della Procura di Milano appoggiavano il progetto di Riina e Gardini, i quali erano soci, di acquisire Eni e poi di fondare Enimont e quindi da un lato favorivano l'acquisizione di denaro da parte di Cosa Nostra tutelando l'Autoparco (700.000.000 di vecchie lire al giorno di movimento di denaro) tutelando i traffici con il c.d. metodo Ros (502.000.000 di euro di ammanchi) e simulando con altre inchieste minori (Duomo Connenction, Epaminonda) un contrasto alla mafia che in realtà non c'era, dall'altro con Di Maggio intervennero pesantemente in Sicilia già nel 1989 per contrastare un attacco della FBI americana contro i corleonesi attraverso il pentito Totuccio Contorno e facendo ricadere la responsabilità delle lettere del corvo su Falcone, poi attentato simulatamente dalla stessa Polizia. Vedi: [www.siciliainformazioni.com] Poi nel 1992 sempre con uomini di Di Maggio contribuirono alla strage di Capaci ove morì Giovanni Falcone il quale si opponeva acchè il progetto Enimont, a quel tempo gestito da Andreotti e da Craxi, tornasse nelle mani di Gardini e di Riina.
Ora è noto ormai che anche le Brigate Rosse eseguirono il sequestro Moro per affarismo e rifiutarono dieci miliardi di vecchie lire da parte del Papa Paolo VI per liberare Aldo Moro perchè qualcun altro le remunerò di più. Vedi: [www.storiain.net]
Napolitano ha ben fatto appello più volte a questi Magistrati di moderarsi.
Palamara non c'entra niente con questo discorso perchè è un buon Magistrato ed è affiliato a Unicost, una corrente di magistrati seri e responsabili e non a M.D.
http://vignette.oknotizie.virgilio.it/info/784002d4ab2c7980/via_le_br_dalle_procure.html
Il sistema teorico di Michels
Michels discute di questi argomenti con Max Weber, c’è bisogno di una novità in politica e la può portare solo l’”eroe carismatico”, dal momento che al parlamento viene attribuita una valenza negativa. C’è bisogno di un’idea nuova e carismatica: il fascismo; verrà, così, meno la mediazione dei partiti tra leader e popolo e si instaurerà tra di essi un rapporto diretto. A differenza di Weber, il quale ritiene che il carisma del leader si possa formare in parlamento, Michels ritiene che per esserci carisma non si possa prescindere da un rapporto diretto e non mediato con il popolo. Maggioranza e opposizione fanno finta di lottare: il loro scopo è di farsi rieleggere e di perpetuarsi al potere. Con l’adesione al fascismo trova un'alternativa alla ‘’legge ferrea dell’oligarchia’’, che ha per lui una valenza fortemente negativa. Il fascismo esprime un leader carismatico, e questo è l’unico modo per superare la pseudemocrazia che era affermata.
Approfondendo alcuni brani tratti da “L’oligarchia organica costituzionale” si possono enucleare alcuni tratti del sistema teorico di Michels:
- Il parlamentarismo è una falsa leggenda: non siamo noi che votiamo i rappresentanti ma i rappresentanti che si fanno scegliere da noi,
- Lo Stato non importa alla maggior parte delle persone, soprattutto per ciò che attiene le vicende prettamente istituzionali: non si può sperare che la partecipazione parta dal basso,
- Le classi politiche non si sostituiscono come ci aveva spiegato Pareto; puntano, invece, all’amalgama, si servono della cooptazione per non perdere mai il loro potere,
- L’opposizione parlamentare mira all’unico scopo, in teoria, di sostituire la classe dirigente avversaria; in pratica, invece, finisce per amalgamarsi con la classe politica al governo,
- A nulla valgono i movimenti popolari, perché chi li guida abbandona la massa e viene assorbito dalla classe politica: “parte incendiario e arriva pompiere”.
- È una funzione scientifica dimostrare l’inganno del parlamentarismo,
- Non è vero che ad una rivoluzione seguirà un regime democratico,
- I socialisti democratici vengono definiti “fanatici partigiani dell’organizzazione”.
Una frase sintetizza con efficacia il pensiero di Michels: “sulla base democratica si innalza, nascondendola, la struttura oligarchica dell’edificio”.
Parte della Relazione di Giuseppe Cascini XXIX CONGRESSO ANM
2. Le sfide dell'associazione
Con questo congresso l'ANM ha voluto lanciare una sfida. Alla politica e al
paese, ma anche al proprio interno.
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da conflitti originati da
aggressioni sistematiche alla funzione giudiziaria e alla sua indipendenza.
Sulla scia di questo scontro la politica ha concentrato tutta la sua
attenzione sull'ordinamento dei magistrati, forse nella illusoria speranza
che la crisi di legalità che attraversava il paese, emersa con tutta la sua
forza nella stagione di tangentopoli, potesse essere risolta non
aggredendone le cause profonde, ma limitando l'indipendenza dei magistrati.
Un po' come un ammalato che cerchi di cambiare il medico nella speranza di
ottenere una diagnosi più favorevole.
Dalla commissione bicamerale alla riforma dell'ordinamento giudiziario del
ministro Castelli questo è stato il leit-motiv della politica in questi
anni.
L'ANM ha contrastato il disegno di riduzione della indipendenza della
magistratura con gli strumenti a propria disposizione.
Non potevamo fare diversamente, ma dobbiamo essere consapevoli che questo
scontro ha finito per logorare la magistratura, la giustizia, il paese.
Nel frattempo, la crisi della giustizia, sulle cui cause risalenti sono
mancati gli interventi necessari, si è fatta sempre più grave. Il che, unito
ai continui attacchi, anche mediatici, nei confronti della magistratura e
delle sue decisioni, ha contribuito a minare la credibilità del sistema
giudiziario. Ma attenzione: la credibilità del sistema giudiziario e delle
sue decisioni è un valore irrinunciabile di uno Stato democratico; la tutela
della credibilità della giustizia è dunque un obbligo, prima ancora che un
interesse, in primo luogo per tutti coloro che ricoprono incarichi
istituzionali.
Con questo congresso l'ANM ha voluto lanciare una sfida. Alla politica e al
paese, ma anche al proprio interno.
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da conflitti originati da
aggressioni sistematiche alla funzione giudiziaria e alla sua indipendenza.
Sulla scia di questo scontro la politica ha concentrato tutta la sua
attenzione sull'ordinamento dei magistrati, forse nella illusoria speranza
che la crisi di legalità che attraversava il paese, emersa con tutta la sua
forza nella stagione di tangentopoli, potesse essere risolta non
aggredendone le cause profonde, ma limitando l'indipendenza dei magistrati.
Un po' come un ammalato che cerchi di cambiare il medico nella speranza di
ottenere una diagnosi più favorevole.
Dalla commissione bicamerale alla riforma dell'ordinamento giudiziario del
ministro Castelli questo è stato il leit-motiv della politica in questi
anni.
L'ANM ha contrastato il disegno di riduzione della indipendenza della
magistratura con gli strumenti a propria disposizione.
Non potevamo fare diversamente, ma dobbiamo essere consapevoli che questo
scontro ha finito per logorare la magistratura, la giustizia, il paese.
Nel frattempo, la crisi della giustizia, sulle cui cause risalenti sono
mancati gli interventi necessari, si è fatta sempre più grave. Il che, unito
ai continui attacchi, anche mediatici, nei confronti della magistratura e
delle sue decisioni, ha contribuito a minare la credibilità del sistema
giudiziario. Ma attenzione: la credibilità del sistema giudiziario e delle
sue decisioni è un valore irrinunciabile di uno Stato democratico; la tutela
della credibilità della giustizia è dunque un obbligo, prima ancora che un
interesse, in primo luogo per tutti coloro che ricoprono incarichi
istituzionali.
Magistratura democratica
Magistratura democratica è un'associazione aperta alla adesione di tutti i magistrati (art. 1 dello statuto) che aderisce, in sede nazionale, all'Associazione nazionale magistrati (ANM) e, in sede europea, a Magistrats europeèns pour la démocratie et les libertés (Medel).
Pur essendo una componente dell'Anm, md ha, rispetto a quest'ultima, una precisa autonomia, non solo in termini statutari, ma anche nella concreta partecipazione alle iniziative delle due associazioni: è possibile l'adesione a md senza adesione all'Anm.
Md ha organi di stampa propri (Il Notiziario, Questione Giustizia e Diritto, immigrazione e cittadinanza, quest'ultimo curato insieme all'ASGI), e aderisce -come detto - a Medel di cui non fa parte l'Anm.
Gli scopi di md non sono contenuti nello statuto ma sono chiaramente desumibili, oltre che dalla sua storia, da quelli indicati nello statuto di Medel, il cui art. 3 recita:
"L'Associazione ha come obiettivi:
Pur essendo una componente dell'Anm, md ha, rispetto a quest'ultima, una precisa autonomia, non solo in termini statutari, ma anche nella concreta partecipazione alle iniziative delle due associazioni: è possibile l'adesione a md senza adesione all'Anm.
Md ha organi di stampa propri (Il Notiziario, Questione Giustizia e Diritto, immigrazione e cittadinanza, quest'ultimo curato insieme all'ASGI), e aderisce -come detto - a Medel di cui non fa parte l'Anm.
Gli scopi di md non sono contenuti nello statuto ma sono chiaramente desumibili, oltre che dalla sua storia, da quelli indicati nello statuto di Medel, il cui art. 3 recita:
"L'Associazione ha come obiettivi:
- lo sviluppo di una cultura giurisdizionale europea fondata sul rispetto, in ogni circostanza, dei principi dello Stato di diritto democratico, tra i quali spiccano in primo luogo il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
- la protezione delle differenze tra gli esseri umani e dei diritti delle minoranze, specialmente dei diritti degli immigrati e dei meno abbienti, in una prospettiva di emancipazione sociale dei più deboli;
- il sostegno all'integrazione comunitaria europea, in vista della creazione di una unione politica europea preoccupata della giustizia sociale;
- la difesa dell'indipendenza del potere giudiziario nei confronti sia di ogni altro potere che di interessi particolari;
- la ricerca e la promozione delle tecniche organizzative idonee a garantire un servizio giudiziario rispondente al principio di trasparenza e tale da permettere il controllo dei cittadini sul suo funzionamento;
- la democratizzazione della magistratura, nel reclutamento e nelle condizioni di esercizio della professione, sostituendo il principio democratico a quello gerarchico, specialmente nel governo del corpo giudiziario;
- l'affermazione del diritto dei magistrati, come di tutti i cittadini, alle libertà di riunione e azione collettiva;
- la promozione di una cultura giuridica democratica tra i magistrati dei diversi paesi, attraverso lo scambio di informazioni e lo studio di argomenti comuni."
domenica 12 giugno 2011
Elezioni CSM: voto di scambio?
Il 4 e 5 luglio i magistrati eleggeranno i 16 rappresentanti togati in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, quel cosiddetto organo di autogoverno dei magistrati che esprime ipso-iure il concetto di conflitto d'interessi. I magistrati che sono chiamati a controllare (e sanzionare) l'operato dei magistrati costituiscono i due terzi del Consiglio, vengono eletti dai magistrati con un sistema (da poco riformato) che nella sostanza è “pilotato” dalle correnti che già governano dell'Associazione Nazionale Magistrati. Poco cambia se la recente “riforma elettorale”, approvata dal Parlamento Italiano in materia di CSM, consente anche a magistrati indipendenti di competere. Gli eletti saranno i soliti “designati”, si accettano scommesse. Tuttavia non bisogna ignorare che sei intrepidi togati abbiano esposto facce e programmi. Timidamente. Forse troppo.
Milena Balsamo (Giudice del Tribunale di Pisa), che può essere votata fra i giudicanti; Salvatore Cantàro (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma), che può essere votato fra i pubblici ministeri; Fernanda Cervetti (Consigliere della Corte di Appello di Torino) che può essere votata fra i giudicanti; Edoardo Cilenti (Consigliere della Corte di Appello di Napoli - Sezione Lavoro), che può essere votato fra i giudicanti. Si sono aggiunti Paolo Corder e Carlo Fucci, che appartengono ad una corrente (Unità per la Costituzione) e non avendo ottenuto la candidatura “intra-menia” hanno optato per l'indipendenza (temporanea).
Il dato più rilevante è un altro, non si riesce a conoscere i nomi dei candidati dalle “correnti”. O, perlomeno, non è semplice ai non addetti ai lavori. Già questo potrebbe essere un servizio reso dai candidati indipendenti alla cittadinanza italiana che viene tenuta “fuori” dalla vicenda elettorale come se la composizione del CSM fosse una questione privata fra magistrati. Non è così, ovviamente, come si comprende da poche considerazioni. Supponiamo che un magistrato che sta indagando su altri magistrati (ex art. 11 C.P.P.) sia candidato per la “quota P.M.”. I suoi indagati, esprimendosi attraverso il voto, sono del tutto liberi o avvertono un qualche condizionamento? Se il primo nella sezione dove votano i secondi non dovesse vedersi riconosciuto alcun voto, sarebbe del tutto sereno quando tornerà al suo lavoro di PM? Un ultimo esempio. Se un magistrato PM si occupa di alcune decine di procedimenti penali che vedono denunciati altri magistrati (sempre i soliti due o tre) ben identificati e, invece che iscriverli nel registro degli indagati, procede contro ignoti; credete davvero che quei soliti (ed i loro amici e sodali) possano votare serenamente per un diverso candidato al CSM? Ebbene sarebbe molto più semplice (ed anche doveroso) che si conoscessero gli aspiranti Consiglieri Superiori affinché si potesse spiegare agli italiani che la pratica del voto di scambio non è prerogativa della bistrattata politica ma di ogni circostanza in cui l'espressione della volontà personale determina posizionamenti redditizi e fondamentali nell'ambito della Res Pubblica. Ovviamente, pur non potendo svolgere il tema in termini preventivi, nulla impedirà di effettuare le considerazioni a consuntivo. Almeno gli eletti dovranno pur essere noti, prima o po
Milena Balsamo (Giudice del Tribunale di Pisa), che può essere votata fra i giudicanti; Salvatore Cantàro (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma), che può essere votato fra i pubblici ministeri; Fernanda Cervetti (Consigliere della Corte di Appello di Torino) che può essere votata fra i giudicanti; Edoardo Cilenti (Consigliere della Corte di Appello di Napoli - Sezione Lavoro), che può essere votato fra i giudicanti. Si sono aggiunti Paolo Corder e Carlo Fucci, che appartengono ad una corrente (Unità per la Costituzione) e non avendo ottenuto la candidatura “intra-menia” hanno optato per l'indipendenza (temporanea).
Il dato più rilevante è un altro, non si riesce a conoscere i nomi dei candidati dalle “correnti”. O, perlomeno, non è semplice ai non addetti ai lavori. Già questo potrebbe essere un servizio reso dai candidati indipendenti alla cittadinanza italiana che viene tenuta “fuori” dalla vicenda elettorale come se la composizione del CSM fosse una questione privata fra magistrati. Non è così, ovviamente, come si comprende da poche considerazioni. Supponiamo che un magistrato che sta indagando su altri magistrati (ex art. 11 C.P.P.) sia candidato per la “quota P.M.”. I suoi indagati, esprimendosi attraverso il voto, sono del tutto liberi o avvertono un qualche condizionamento? Se il primo nella sezione dove votano i secondi non dovesse vedersi riconosciuto alcun voto, sarebbe del tutto sereno quando tornerà al suo lavoro di PM? Un ultimo esempio. Se un magistrato PM si occupa di alcune decine di procedimenti penali che vedono denunciati altri magistrati (sempre i soliti due o tre) ben identificati e, invece che iscriverli nel registro degli indagati, procede contro ignoti; credete davvero che quei soliti (ed i loro amici e sodali) possano votare serenamente per un diverso candidato al CSM? Ebbene sarebbe molto più semplice (ed anche doveroso) che si conoscessero gli aspiranti Consiglieri Superiori affinché si potesse spiegare agli italiani che la pratica del voto di scambio non è prerogativa della bistrattata politica ma di ogni circostanza in cui l'espressione della volontà personale determina posizionamenti redditizi e fondamentali nell'ambito della Res Pubblica. Ovviamente, pur non potendo svolgere il tema in termini preventivi, nulla impedirà di effettuare le considerazioni a consuntivo. Almeno gli eletti dovranno pur essere noti, prima o po
Ecco gli stipendi d’oro che le toghe non mollano
RomaSacrifici per tutti, ma le toghe non ci stanno. Appena il governo ha parlato di toccare i loro stipendi si sono ricompattate all’istante, superando ogni solco di corrente. E l’Anm è tornata ad essere il faro di tutti i magistrati, in questa battaglia. Stato d’agitazione subito, forse domani la proclamazione di uno sciopero.
Succede così ogni volta. Il ministro Angelino Alfano ricorda bene la stessa unità d’azione 2 anni fa, quando si arrivò ai tagli in busta paga per gli scatti di anzianità e per l’adeguamento triennale.
Ora ci risiamo. Prima le avvisaglie di Umberto Bossi e ora la manovra che prospetta un nuovo taglio, valutato tra i 100 e i 400 euro mensili a seconda dell’anzianità, oltre al mancato adeguamento di stipendio che nel 2013, secondo il «sindacato delle toghe», farebbe perdere complessivamente il 30 per cento del potere d’acquisto.
E dire che nell’ultima mappa delle retribuzioni in Italia fatta dall’Istat ad aprile 2009, i magistrati figurano come la categoria più ricca, con oltre 110 mila euro lordi all’anno, cioè una media di 4.700 netti al mese, mentre colf e insegnanti sono in fondo, con 16-18 mila euro.
L’ultimo report biennale della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), quello del 2008, calcola che gli stipendi degli 8 mila magistrati italiani entrano in una forbice dai 37.454 euro ad inizio carriera (più della Francia, poco meno di Germania e Spagna, ben al di sotto di Gran Bretagna e Danimarca) ai 122.278 euro alla fine (superiore a Germania, Francia e Spagna, quasi pari alla Danimarca, meno del Regno Unito).
Loro, naturalmente, la vedono in modo ben diverso. Le correnti, dalla moderata Magistratura indipendente a quella rossa Magistratura democratica, protestano a gran voce. E l’Anm ripete che un buono stipendio è la maggiore garanzia d’indipendenza e autonomia, un antidoto contro ogni tipo di pressione.
I magistrati spiegano anche che il confronto con i colleghi degli altri paesi è falsato, perché loro hanno un carico di lavoro pro capite molto più elevato, visto che il numero dei processi da noi è ben superiore che all’estero.
Ma vediamoli oggi questi stipendi medi netti delle toghe italiane. Si entra in magistratura come tirocinanti con 2.400 euro al mese. Dopo 10 anni, si arriva a 3.500. Passati i 20, a 5.200. Oltre i 30, si toccano i 6.200. E all’ultimo livello, con 45 anni di anzianità, si guadagnano 7.300 euro netti al mese. Solo il Primo Presidente della Cassazione spicca sulla massa, con quasi mille euro di più al mese.
Per capire meglio bisogna considerare che la magistratura è in gran parte «giovane». Circa 5mila toghe hanno meno di 20 anni di servizio, mentre le altre 3mila superano questo livello di anzianità. La carriera dal 2007 non è più automatica, ma ci sono le valutazioni di professionalità ogni 4 anni, fatte dal Csm su criteri ancora tutti da definire, con uno scatto del 4-5 per cento.
Parliamo, è bene precisarlo, solo di magistrati ordinari, perché con la legge finanziaria 2001 l’unità dell’ordine è stata rotta. Sono infatti stati differenziati gli stipendi di quelli amministrativi e contabili, che hanno lo stipendio pari alla Quinta valutazione di professionalità dopo 8 anni dalla nomina e quindi dopo 13 anni di attività, cioè con 7 anni di anticipo rispetto ai magistrati ordinari. Insomma, gli appartenenti a Tar, Consiglio di Stato e Corte dei Conti sono ben più ricchi dei colleghi impegnati in tribunali, procure, Corti d’Appello e Corte di Cassazione.
Succede così ogni volta. Il ministro Angelino Alfano ricorda bene la stessa unità d’azione 2 anni fa, quando si arrivò ai tagli in busta paga per gli scatti di anzianità e per l’adeguamento triennale.
Ora ci risiamo. Prima le avvisaglie di Umberto Bossi e ora la manovra che prospetta un nuovo taglio, valutato tra i 100 e i 400 euro mensili a seconda dell’anzianità, oltre al mancato adeguamento di stipendio che nel 2013, secondo il «sindacato delle toghe», farebbe perdere complessivamente il 30 per cento del potere d’acquisto.
E dire che nell’ultima mappa delle retribuzioni in Italia fatta dall’Istat ad aprile 2009, i magistrati figurano come la categoria più ricca, con oltre 110 mila euro lordi all’anno, cioè una media di 4.700 netti al mese, mentre colf e insegnanti sono in fondo, con 16-18 mila euro.
L’ultimo report biennale della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), quello del 2008, calcola che gli stipendi degli 8 mila magistrati italiani entrano in una forbice dai 37.454 euro ad inizio carriera (più della Francia, poco meno di Germania e Spagna, ben al di sotto di Gran Bretagna e Danimarca) ai 122.278 euro alla fine (superiore a Germania, Francia e Spagna, quasi pari alla Danimarca, meno del Regno Unito).
Loro, naturalmente, la vedono in modo ben diverso. Le correnti, dalla moderata Magistratura indipendente a quella rossa Magistratura democratica, protestano a gran voce. E l’Anm ripete che un buono stipendio è la maggiore garanzia d’indipendenza e autonomia, un antidoto contro ogni tipo di pressione.
I magistrati spiegano anche che il confronto con i colleghi degli altri paesi è falsato, perché loro hanno un carico di lavoro pro capite molto più elevato, visto che il numero dei processi da noi è ben superiore che all’estero.
Ma vediamoli oggi questi stipendi medi netti delle toghe italiane. Si entra in magistratura come tirocinanti con 2.400 euro al mese. Dopo 10 anni, si arriva a 3.500. Passati i 20, a 5.200. Oltre i 30, si toccano i 6.200. E all’ultimo livello, con 45 anni di anzianità, si guadagnano 7.300 euro netti al mese. Solo il Primo Presidente della Cassazione spicca sulla massa, con quasi mille euro di più al mese.
Per capire meglio bisogna considerare che la magistratura è in gran parte «giovane». Circa 5mila toghe hanno meno di 20 anni di servizio, mentre le altre 3mila superano questo livello di anzianità. La carriera dal 2007 non è più automatica, ma ci sono le valutazioni di professionalità ogni 4 anni, fatte dal Csm su criteri ancora tutti da definire, con uno scatto del 4-5 per cento.
Parliamo, è bene precisarlo, solo di magistrati ordinari, perché con la legge finanziaria 2001 l’unità dell’ordine è stata rotta. Sono infatti stati differenziati gli stipendi di quelli amministrativi e contabili, che hanno lo stipendio pari alla Quinta valutazione di professionalità dopo 8 anni dalla nomina e quindi dopo 13 anni di attività, cioè con 7 anni di anticipo rispetto ai magistrati ordinari. Insomma, gli appartenenti a Tar, Consiglio di Stato e Corte dei Conti sono ben più ricchi dei colleghi impegnati in tribunali, procure, Corti d’Appello e Corte di Cassazione.

Elezioni del Csm: Magistratura democratica perde un seggio. Risultato storico: eletto Paolo Corder, un «senza corrente»
Perde Magistratura democratica, avanzano i moderati, e per la prima volta viene eletto un giudice fuori dalle correnti. Questo il risultato delle elezioni del 4 e 5 luglio per le elezioni dei 16 consiglieri «togati» del prossimo Consiglio superiore della magistratura (quello in carica scadrà alla fine di luglio). Su 8.584 magistrati aventi diritto, hanno votato in 7.402, circa l’86%. Md, storica corrente di sinistra, perde un seggio, passando da quattro a tre consiglieri. Quel seggio, però, non va a nessuno degli altri gruppi organizzati, le cui proporzioni restano invariate: 6 consiglieri a Unità per la costituzione, la corrente di centro, che pure perde consensi in termini di voti; 3 ciascuno al Movimento per la giustizia, di sinistra, e a Magistratura indipendente, il gruppo più moderato che avanza in termini di voti, ma non riesce a ottenere nessun seggio in più.
Il seggio perso da Md va al giudice di Venezia Paolo Corder, che in passato ha fatto parte della giunta dell’Associazione nazionale in quota a Unicost, ma in queste elezioni si è presentato come indipendente. È la prima volta che questo accade.
La sconfitta di Md è la seconda consecutiva: quattro anni fa la corrente era passata da cinque a quattro consiglieri. Oggi torna alle dimensioni che aveva prima del 1994. «Il Csm si sposta a destra», commenta il nuovo consigliere del Csm Vittorio Borraccetti, eletto nelle liste di Md per la categoria dei pm, colpito anche dal fenomeno «alto numero di schede bianche», triplicate rispetto al 2006. «È il segno che nella magistratura c’è una certa sfiducia verso il Csm. D’altra parte siamo oggetto di una denigrazione sistematica, che evidentemente qualcosa ha lasciato».
Ecco i 16 eletti «togati» del Csm:
Movimento per la giustizia
Paolo Carfì, Aniello Nappi, Roberto Rossi
Unicost
Paolo Auriemma, Pina Casella, Giovanna Di Rosa, Riccardo Fuzio, Alberto Liguori, Mariano Sciacca
Magistratura indipendente
Alessandro Pepe, Antonello Racanelli, Tommaso Virg
Magistratura democratica
Vittorio Borraccetti, Franco Cassano, Francesco Vigorito
Eletto indipendente dalle correnti
Paolo Corder
Il seggio perso da Md va al giudice di Venezia Paolo Corder, che in passato ha fatto parte della giunta dell’Associazione nazionale in quota a Unicost, ma in queste elezioni si è presentato come indipendente. È la prima volta che questo accade.
La sconfitta di Md è la seconda consecutiva: quattro anni fa la corrente era passata da cinque a quattro consiglieri. Oggi torna alle dimensioni che aveva prima del 1994. «Il Csm si sposta a destra», commenta il nuovo consigliere del Csm Vittorio Borraccetti, eletto nelle liste di Md per la categoria dei pm, colpito anche dal fenomeno «alto numero di schede bianche», triplicate rispetto al 2006. «È il segno che nella magistratura c’è una certa sfiducia verso il Csm. D’altra parte siamo oggetto di una denigrazione sistematica, che evidentemente qualcosa ha lasciato».
Ecco i 16 eletti «togati» del Csm:
Movimento per la giustizia
Paolo Carfì, Aniello Nappi, Roberto Rossi
Unicost
Paolo Auriemma, Pina Casella, Giovanna Di Rosa, Riccardo Fuzio, Alberto Liguori, Mariano Sciacca
Alessandro Pepe, Antonello Racanelli, Tommaso Virg
Magistratura democratica
Vittorio Borraccetti, Franco Cassano, Francesco Vigorito
Eletto indipendente dalle correnti
Paolo Corder
Il taglia-spese inizia a funzionare
La ( ur/e (ICi conti Cnnfiv'nt(( lu llr Ccs.Sitù (HI(t (rn(r((((Cin/(( (In 7rt'mn(1ti Il taglia-spese inizia a funzionare I risparmi conseguiti nei conti superano duelli programmati DI MICHELE ARNESE Imagistrati contabili come al solito sono parchi di aggettivi e prodighi di numeri. Ma dai numeri indicati ieri nella relazione sulla finanza pubblica italiana si evince un giudizio chiaro e positivo per la gestione tremontiana dei conti statali: la spesa è calata, le entrate tengono, i risultati del contrasto all'evasione fiscali sono evidenti, i saldi di bilancio corrispondono alle attese, il percorso concordato con Bruxelles per raggiungere il tendenziale pareggio di bilancio entro il 2014 è condivisibile. Certo, oltre a una manovra di correzione per gli anni 2013 e 2014 del 2,3 per cento del PII che l'esecutivo ha già annunciato e che approverà a metà giugno per circa 40 miliardi di euro, la Corte presieduta da Luigi Giampaolino dice che per ridurre il rapporto debito-pil alla velocità auspicata dalla Commissione europea ci sarà bisogno di trovare risorse per circa 46 miliardi di euro l'anno. Ma su modi e tempi della riduzione progressiva del rapporto debito-pil al 60 per cento, dicono fonti del Tesoro, nulla è ancora deciso: se ne discuterà al Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. Forse per questo, scherzando, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha definito il rapporto della magistratura contabile sulla finanza pubblica «un genere letterario non definibile come happy hours' . Eppure non mancano le soddisfazioni per il titolare del Tesoro, scorrendo il rapporto presentato ieri. Infatti il consuntivo per il 2010 è più che lusinghiero. Basta rimarcare, come fa la Corte nelle 283 pagine del rapporto, che «i risparmi di spesa conseguiti nel 2010 sono tanto più significativi in quanto superiori ai valori programmatici», assunti «prima nella Ruef (Relazione unificata di economia e finanza, ndr) dell'aprile 2010 e poi confermati nella Dfp (Decisione di finanza pubblica, ndr) dello scorso settembre». Nel confronto con quest'ultimo documento, il maggiore risparmio realizzato ammonta a oltre 14 miliardi e consegue per oltre il 40 per cento da una minore spesa in conto capitale (-5,5 miliardi), per poco meno del 50 per cento da un più forte contenimento della spesa primaria corrente (6,7 miliardi), per la restante parte da un minore esborso per interessi (1,9 miliardi). Chiosano i magistrati: «Sia la spesa in conto capitale, sia quella per interessi, hanno contribuito al risparmio aggiuntivo in una proporzione maggiore rispetto al loro peso sul totale delle uscite pubbliche (rispettivamente pari all'8 e al 7 per cento). Per la sua eccezionalità nella prospettiva storica, è tuttavia il superamento degli obiettivi di spesa primaria corrente ad assumere particolare rilevanza, tanto da costituire una sorpresa per lo stesso governo». C'è un rovescio della medaglia, comunque, nel rigore sulle spese per gli investimenti: «La caduta delle spese in conto capitale è superiore alle stesse previsioni governative, ma, allo stesso tempo, non è del tutto sorprendente. Basti, in proposito, considerare che, fin dal 2002, i ripetuti provvedimenti che hanno disposto tagli, lineari o non, alla spesa statale non hanno salvaguardato gli investimenti e le spese in conto capitale, palesando un orientamento contraddittorio con gli impegni programmatici, di natura strutturale, verso il rilancio e l'accelerazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture». Nel Rapporto della magistratura contabile si evidenzia, anzi, come i tagli siano stati sempre proporzionalmente molto più severi per le spese in conto capitale. Fino ad arrivare, con il decreto legge 112/2008, a sottoporre a tagli, per il 2010, poco più del 4 per cento delle spese correnti dello Stato al netto degli interessi, e, invece, oltre i150 per cento della spesa in conto capitale.
Io, magistrato, accuso: “Molti miei colleghi cercano solo lo show”
Io, magistrato, accuso: “Molti miei colleghi cercano solo lo show”
Cerqua, presidente alla Corte d’appello di Milano, denuncia i giudici che non applicano le leggi ma attaccano chi le fa. E avverte: “Le lotte di potere tra correnti affossano la nostra reputazione”. Pubblichiamo ampi stralci della postfazione di Luigi Domenico Cerqua al romanzo di Pierre Boulle (1912-1994) «La faccia o il procuratore di Bergerane» (edito da Liberilibri nel 2008). Cerqua, presidente della quinta sezione della corte d’Appello di Milano,è studioso e docente univer sitario di diritto penale e direttore della collana di studi «La biblioteca del penalista».La prova testimoniale costituisce un momento essenziale nella ricostruzione del fatto processuale, perché mediante le dichiarazioni dei testimoni si cerca di giungere alla verità processuale. È attraverso le «ombre del passato» (per usare le parole di Francesco Carnelutti) che il giudice perverrà alla ricostruzione del fatto: ombre sfocate, talora inattendibili, non per mala fede, che condurranno alla conoscenza di una vicenda passata, filtrata attraverso la personalità dei testimoni, deformata dalle inevitabili distorsioni dei meccanismi percettivi, dalle interferenze dei processi mnestici, dai pregiudizi e dagli stereotipi. La verità processuale: vengono alla mente le verità della signora Frola e del signor Ponza, suo genero, nel «processo» borghese di Luigi Pirandello, e la verità inafferrabile in quella dialettica di luci e ombre che pervade Rashomon di Akira Kurosawa.
Pericoloso il giudice che si lasci influenzare dall’opinione pubblica, che potrebbe incidere sulle sue valutazioni e indurlo, anche inconsciamente, a una ricerca parziale e ad una ricostruzione distorta dei fatti (…). Altrettanto pericoloso è il giudice che si senta investito di una missione, come quella di combattere il malcostume, la degradazione morale, il terrorismo. Ad altri questi compiti (…).
Molto più riduttivamente (se si vuole), spetta al giudice applicare la legge, espressione della volontà popolare, con equilibrio, intelligenza e sapienza. Sine spe, sine metu, si potrebbe dire. Lontane dalla sua professione dovrebbero essere le lusinghe del consenso popolare e della pubblicità.
Scriveva Jeremy Bentham che soltanto la trasparenza e la pubblicità dei processi potevano cancellare l’arbitrio e la prepotenza, e che soltanto il tribunale della pubblica opinione era in grado di dare forma umana e regola civile all’amministrazione della giustizia. Non v’è dubbio che la pubblicità del dibattimento costituisce nel nostro ordinamento un diritto fondamentale dell’imputato, oltre che espressione del controllo da parte della collettività del corretto esercizio del potere giurisdizionale. Ma è del pari certo che oggi i meccanismi del processo sono diventati sempre più contorti e difficili da comprendere e che il controllo si esercita soprattutto dall’interno delle abitazioni: il tribunale della pubblica opinione siede oggi in permanenza nei salotti, davanti alla televisione, dove ognuno, ancorché privo di nozioni di diritto e ignaro dei complessi meccanismi che regolano il processo penale, si sente autorizzato, alla vista di «avvincenti» spettacoli serali, a esprimere il proprio giudizio.
Le cronache italiane ci svelano l’immagine di un Paese nel quale diffuso è il sistema della corruzione, tanto più allarmante quando si insinua nelle aule dei tribunali, come nel dramma Corruzione al Palazzo di Giustizia di Ugo Betti: vengono alla mente anche vicende recenti. Il sistema della corruzione ha mostrato purtroppo la propria capacità di radicamento nella società civile, innervandosi profondamente in ogni settore: negli appalti, nei contratti, nelle licenze e nelle concessioni della pubblica amministrazione, in ambiziose operazioni finanziarie sino a raggiungere le università, gli ospedali, e persino le squadre di calcio e i festival canori, come amaramente sostenuto da molti. Da una recente indagine condotta da Morris L. Ghezzi e Marco A. Quiroz Vitale è emerso che non è affatto soddisfacente l’immagine pubblica della magistratura in Italia. Tante le ragioni del giudizio negativo: soprattutto la politicizzazione, il protagonismo, la scarsa laboriosità dei giudici. Fondate alcune critiche: basti pensare alla talvolta esasperata divisione della magistratura in «correnti» e ai benefici che ne derivano per i magistrati in esse più «attivi»; divisione certo non giustificata dalla necessità di garantire la pluralità delle opinioni e di assicurare un fecondo dibattito tra le varie componenti nelle quali si articola la magistratura. Criticabile anche il protagonismo di taluni magistrati, sia quando, esorbitando dalle loro funzioni, si pongono in contrapposizione con chi sta facendo le leggi: sia quando davanti ai riflettori dei mezzi di comunicazione di massa raccontano le proprie vicende personali, esibite e ridotte a spettacolo.
Infondate altre critiche: la lunghezza dei processi non dipende soltanto dai magistrati, la crisi della giustizia non è addebitabile solo a loro. Se i lettori di questo libro entrassero in un tribunale, ne visitassero i locali e assistessero a un processo penale, noterebbero subito tante disfunzioni e inefficienze, ma si renderebbero pure conto delle scarse risorse che vengono destinate all’amministrazione della giustizia. Se poi esaminassero il testo di una legge rimarrebbero colpiti dalla sciatteria della formulazione delle varie disposizioni (neppure la consecutio temporum viene talora rispettata) e dalla oscurità del messaggio, che è diretto a tutti i cittadini. In argomento, illuminante un saggio di Michele Ainis.
Non è facile la professione di magistrato. E non è retorica quando si parla di un uomo solo, titolare di un potere «terribile» e, al tempo stesso, indispensabile; criticato talora ingiustamente, angosciato, nell’esercizio della sua funzione che investe la coscienza profonda, dalla quotidiana contemplazione delle sventure umane e in lotta con il peso dell’abitudine che lo logora sino a fargli credere che il decidere della libertà altrui sia diventato un atto di ordinaria amministrazione. Ricordate il Diario di un giudice di Dante Troisi?

Le lacrime dei coccodrilli su Falcone
Caro Granzotto, le chiedo un aiutino: mi fornisca alcuni nomi di personaggi, politici e magistrati famosi che firmarono un documento contro Giovanni Falcone. È infatti stomachevole l’ipocrisia sulle celebrazioni di Giovanni Falcone da parte di gente che nei momenti tragici e difficili ha fatto di tutto per contrastarlo e combatterlo. La denuncia informatica nei loro confronti dovrebbe essere continua per smascherarli e denunciarli.
e-mail
Sono già smascherati, caro Pieri. E da tempo. Però è come se nulla fosse. Loro seguitano a fare gli ipocriti e la società civile di area manettara e giustizialista a non tener conto di quella volgare e smaccata simulazione di buoni sentimenti. Il documento al quale lei si riferisce è del dicembre del 1991: firmato da 63 magistrati, primi dei quali Giancarlo Caselli, Antonino Caponnetto e Elena Paciotti, contestava, bocciandola, la superprocura antimafia fortemente voluta da Giovanni Falcone, definendola «strumento inadeguato, pericoloso e controproducente». Una dichiarazione di guerra in piana regola e che diede il via a una campagna di delegittimazione («Mi insozzano», per usare le parole di Falcone) condotta principalmente da coloro che oggi la stomacano. Non essendo riusciti a impedire la costituzione della superprocura, quelli che oggi ne parlano a ciglio umido, chiamandolo amico e fratello, scesero in campo per impedire, almeno, che Falcone ne prendesse la guida, a tal proposito indicendo uno sciopero con tanto di adunata nel Palazzo di giustizia di Roma dove prese la parola, applauditissima, Elena Paciotti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Anm alla quale in seguito diede manforte, nella martellante (e umiliante) campagna denigratoria, la sinistra (la stessa che oggi lo piange martire e lo porta ad esempio) e la Rete di Leoluca Orlando, il quale giunse ad accusare Falcone di tenere «le prove nei cassetti» per non coinvolgere nelle inchieste certi notabili politici.
Il motivo di tanta ostilità è noto: Giovanni Falcone aveva in più occasioni denunciato le storture del sistema giudiziario deprecando la politicizzazione del Consiglio superiore della magistratura («Il Csm è diventato una struttura da cui il magistrato si deve guardare, con le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica. Quanti altri danni deve produrre questa politicizzazione della giustizia?»). Invocando un freno alla discrezionalità delle Procure («Mi sento di condividere l’analisi secondo cui, in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del Pm, saranno sempre più gravi i pericoli che pressioni informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l’esercizio di tale attività»). E, non ultimo, dissentendo dai colleghi che invece di combattere la mafia costruivano teoremi sulla sua cupola (politica) cercando - sopra tutto attraverso i pentiti - di raccoglie le prove della sua esistenza («Per non so quale rozzezza intellettuale, il nostro terzo livello è diventato il “grande vecchio”, il “burattinaio”, che, dall’alto della sfera politica, tira le fila della mafia. Non esiste ombra di prova o di indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia, trasformata in semplice braccio armato di trame politiche»). Rozzezza intellettuale che seguita a restare ben viva nonostante lo smacco rappresentato dal recente caso del super pataccaro Massimuccio Ciancimino. «Icona dell’antimafia» per quei magistrati e quei giornalisti manettari che oggi si dicono eredi e seguaci del «caro Giovanni» e del suo alto insegnamento. Infingardaggine che a lei, caro Pieri, così come a me impone l’assunzione di un buon emetico.
Sono già smascherati, caro Pieri. E da tempo. Però è come se nulla fosse. Loro seguitano a fare gli ipocriti e la società civile di area manettara e giustizialista a non tener conto di quella volgare e smaccata simulazione di buoni sentimenti. Il documento al quale lei si riferisce è del dicembre del 1991: firmato da 63 magistrati, primi dei quali Giancarlo Caselli, Antonino Caponnetto e Elena Paciotti, contestava, bocciandola, la superprocura antimafia fortemente voluta da Giovanni Falcone, definendola «strumento inadeguato, pericoloso e controproducente». Una dichiarazione di guerra in piana regola e che diede il via a una campagna di delegittimazione («Mi insozzano», per usare le parole di Falcone) condotta principalmente da coloro che oggi la stomacano. Non essendo riusciti a impedire la costituzione della superprocura, quelli che oggi ne parlano a ciglio umido, chiamandolo amico e fratello, scesero in campo per impedire, almeno, che Falcone ne prendesse la guida, a tal proposito indicendo uno sciopero con tanto di adunata nel Palazzo di giustizia di Roma dove prese la parola, applauditissima, Elena Paciotti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Anm alla quale in seguito diede manforte, nella martellante (e umiliante) campagna denigratoria, la sinistra (la stessa che oggi lo piange martire e lo porta ad esempio) e la Rete di Leoluca Orlando, il quale giunse ad accusare Falcone di tenere «le prove nei cassetti» per non coinvolgere nelle inchieste certi notabili politici.
Il motivo di tanta ostilità è noto: Giovanni Falcone aveva in più occasioni denunciato le storture del sistema giudiziario deprecando la politicizzazione del Consiglio superiore della magistratura («Il Csm è diventato una struttura da cui il magistrato si deve guardare, con le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica. Quanti altri danni deve produrre questa politicizzazione della giustizia?»). Invocando un freno alla discrezionalità delle Procure («Mi sento di condividere l’analisi secondo cui, in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del Pm, saranno sempre più gravi i pericoli che pressioni informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l’esercizio di tale attività»). E, non ultimo, dissentendo dai colleghi che invece di combattere la mafia costruivano teoremi sulla sua cupola (politica) cercando - sopra tutto attraverso i pentiti - di raccoglie le prove della sua esistenza («Per non so quale rozzezza intellettuale, il nostro terzo livello è diventato il “grande vecchio”, il “burattinaio”, che, dall’alto della sfera politica, tira le fila della mafia. Non esiste ombra di prova o di indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia, trasformata in semplice braccio armato di trame politiche»). Rozzezza intellettuale che seguita a restare ben viva nonostante lo smacco rappresentato dal recente caso del super pataccaro Massimuccio Ciancimino. «Icona dell’antimafia» per quei magistrati e quei giornalisti manettari che oggi si dicono eredi e seguaci del «caro Giovanni» e del suo alto insegnamento. Infingardaggine che a lei, caro Pieri, così come a me impone l’assunzione di un buon emetico.
Imparziali o comunisti? Berlusconi odia i giudici, i giudici odiano Berlusconi
Mettere in dubbio l'imparzialità dei magistrati e della giustizia in generale, vuol dire destabilizzare una società dal profondo. Gli uomini hanno accettato di delegare ogni strumento di giustizia allo Stato, un soggetto imparziale che in nome del popolo (nel nostro caso italiano) cerca (perché imperfetto) di preservare la pace, tramite la giustizia derivata dal diritto positivo.
Le leggi sono fatte dall'uomo per l'uomo e in quanto tali sono soggette a forme devianti come le ideologie. Il mantenimento, quanto più possibile, dell'imparzialità e il perpetuo nascondere le proprie passioni politiche o, più semplicemente, ideologiche, fa del giudice un buon servitore dello Stato.
Il presidente del Consiglio Berlusconi sbaglia nell'attaccare costantemente la magistratura, definendola addirittura «una metastasi del nostro sistema attuale», poiché in questa maniera risveglia gli istinti primordiali insiti in tutti noi uomini che, da tempo immemore, abbiamo deciso di abbandonare lo stato di natura. La magistratura, dal canto suo, sembra confondere il rispetto delle leggi (come fattore oggettivo) con il senso di giustizia (del tutto soggettivo), consentendo al suo interno la costituzione delle cosiddette correnti, di cui Magistratura Democratica è un esempio.
La giustizia deve essere imparziale e non correntizia o portatrice di idee anche velatamente politiche. Detto questo, rimane inaccettabile il lessico berlusconiano, dai giudici «metastasi», alle «toghe rosse», fino al più esplicito «giudici comunisti».
Il miglior modo per evitare una simile profusione di contumelie sarebbe quello di fare totale pulizia e chiarezza, all'interno della magistratura, per fugare ogni dubbio di parzialità. Chiedere la totale sterilità ideologica prima ancora che politica di chi è preposto al rispetto delle leggi è pressoché impossibile.
Chiunque, dotato di senso civico e discreto livello culturale, nel corso del suo curriculum studiorum e nell'evoluzione della sua carriera lavorativa, inevitabilmente dovrà confrontarsi con altri "soggetti pensanti", con libri, con la società. Con quest'estrema semplificazione, si vuole intendere come sia arduo credere che un uomo, in mezzo ad altri uomini, non sviluppi una sua coscienza ideologica e politica.
Se da un lato Berlusconi sbaglia a mettere in dubbio l'operato della magistratura, mettendosi così al di sopra della legge per l'unico motivo che essa chiede il conto a chiunque, presidente del Consiglio incluso, dall'altro Unicost, Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente e Movimento per la Giustizia non fanno altro che deviare la giustizia dal suo corso unitario.
Prendiamo come esempio le "mission" delle suddette Unicost, Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente e Movimento per la Giustizia: partiamo dalla prima.
UNICOST: «La terzietà costituzionale, il pluralismo interno, il non collateralismo partitico costituiscono il patrimonio comune di tutti gli aderenti a Unità per la Costituzione.
Per pluralismo interno intendiamo libertà di manifestazione d'idee e possibilità di confronto dialettico: il confronto necessita di regole ed implica sintesi politica.
Non collateralismo significa presa di distanza da ogni centro di potere esterno o interno alla magistratura: valore questo da praticare in concreto».
MAGISTRATURA DEMOCRATICA: «L'Associazione ha come obiettivi:
- Lo sviluppo di una cultura giurisdizionale europea fondata sul rispetto, in ogni circostanza, dei principi dello Stato di diritto democratico, tra i quali spiccano in primo luogo il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
- La protezione delle differenze tra gli esseri umani e dei diritti delle minoranze, specialmente dei diritti degli immigrati e dei meno abbienti, in una prospettiva di emancipazione sociale dei più deboli;
- Il sostegno all'integrazione comunitaria europea, in vista della creazione di una unione politica europea preoccupata della giustizia sociale;
- La difesa dell'indipendenza del potere giudiziario nei confronti sia di ogni altro potere che di interessi particolari;
- La ricerca e la promozione delle tecniche organizzative idonee a garantire un servizio giudiziario rispondente al principio di trasparenza e tale da permettere il controllo dei cittadini sul suo funzionamento;
- La democratizzazione della magistratura, nel reclutamento e nelle condizioni di esercizio della professione, sostituendo il principio democratico a quello gerarchico, specialmente nel governo del corpo giudiziario;
- L'affermazione del diritto dei magistrati, come di tutti i cittadini, alle libertà di riunione e azione collettiva;
- La promozione di una cultura giuridica democratica tra i magistrati dei diversi paesi, attraverso lo scambio di informazioni e lo studio di argomenti comuni».
MAGISTRATURA INDIPENDENTE: «Il suo impegno si fonda sulla tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, nel loro significato costituzionale: non come privilegi dell'Ordine giudiziario, bensì come valori strumentali al corretto esercizio della giurisdizione.
In tale prospettiva, M.I. afferma l'unità e l'apoliticità dell'Ordine giudiziario e persegue la tutela della dignità morale e materiale della magistratura. Opera nell'ambito dell'Associazione Nazionale Magistrati e delle organizzazioni internazionali delle magistrature.
L'effettiva imparzialità costituisce il carattere essenziale del magistrato aderente a Magistratura Indipendente, che - nell'attività giudiziaria come in quella associativa - ispira la propria azione all'esclusione di ogni forma di collateralismo politico e partitico».
MOVIMENTO PER LA GIUSTIZIA: (riporto l'intero art. 3 dello Statuto) «L'associazione si propone di svolgere e promuovere una riflessione e un impegno politico culturale sui problemi della giurisdizione, nonché di contribuire al miglioramento del "servizio Giustizia" attraverso:
a) la valorizzazione e la difesa dei principi costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario (e, quindi, dei singoli magistrati), in quanto principi irrinunciabili per garantire la vita democratica e la legalità nel Paese;
b) l'analisi delle cause reali delle disfunzioni della giustizia e l'individuazione degli strumenti idonei a porvi rimedio; a tal fine l'Associazione reputa necessaria l'apertura al confronto ed al contributo di quelle componenti della società, esterne alla magistratura, che, anche in forme ed aggregazioni nuove, avvertono la necessità di un giudice libero da condizionamenti e del tutto coerente con il modello costituzionale;
c) l'affermazione del carattere preliminare e fondamentale della "questione morale", intesa come conformità della condotta e delle scelte individuali e collettive ai principi ideali ed alle regole della deontologia professionale, come rifiuto di ogni collateralismo con centri di interesse o di potere, politici ed economici, atti a comprimere l'indipendenza ed il ruolo di garanzia della magistratura;
d) lo sviluppo delle iniziative in grado di incrementare e privilegiare la professionalità del giudice (intesa come capacità, terzietà ed indipendenza);
e) il sostegno concreto dei soci magistrati all'attività dell'Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) con il fermo impegno a contrastarne degenerazioni interne e a favorire la tutela nella loro effettività del prestigio e del rispetto della funzione giudiziaria, richiamati dall'art. 2 dello statuto dell'A.N.M..
Più in generale, comunque, l'associazione intende conformarsi ai principi ed avvalersi dei mezzi idonei alla diffusione di essi, alla sensibilizzazione della pubblica opinione ed alla realizzazione delle proprie finalità, così come specificati nel documento intitolato "UN IMPEGNO PER LA GIUSTIZIA", datato "Roma, 17 aprile 1988", che, allegato al presente Statuto, ne costituisce ad ogni effetto parte integrante».
Non si devono cercare fumosi giri di parole per delineare il profilo del magistrato (quasi) perfetto, poiché il principio a cui attenersi è contenuto nell'art. 1 del Codice etico adottato dal Comitato Direttivo Centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati:
Disinteresse personale, indipendenza e imparzialità dovrebbero essere totali, impedendo dunque anche la formazione di correnti che, inevitabilmente, in nome di un sentire comune a poche persone (quindi del tutto soggettivo), tende a istituzionalizzare la discrezionalità delle scelte fatte nel pieno esercizio dei propri poteri. Per quanto un qualsiasi uomo che, accusato di svariati reati, riesca ad accedere al più altro scranno del Parlamento italiano, sia insopportabile alla vista di coloro che sono preposti al rispetto delle leggi, è anche vero che qualsivoglia ideale politico va espresso nelle urne (per chi crede nelle elezioni), oppure in altre forme, purché si distingua il momento politico e ideologico, da quello giuridico.

Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo
Avv. Vito Mazzarelli:
La "Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo" non è stata per la verità molto presente durante i quattro anni della mia segreteria perché sono stato impegnato in altre cose, ma alcuni problemi li abbiamo studiati.
Uno di questi, che ci ha sempre angosciato, è stato quello dell’imparzialità.
Diceva un grande filosofo che la maggior parte di noi considerano un pazzo, o hanno considerato un pazzo, Nietzsche, che i grandi problemi hanno bisogno di un grande amore, di una grande passione e che sono ranocchie e mezzi uomini, diceva lui, coloro i quali non contrappongono ai grossi problemi le grandi passioni.
Il tema dell’indipendenza del giudice e della sua imparzialità, secondo me, è uno di quei temi che impongono una grossa tensione e una grande passione.
Il diritto all’imparzialità, secondo me, è un mito e proprio perché è un mito ha bisogno di un grande amore, perché i miti, per poter essere ritenuti credibili e scendere dall’Olimpo sulla Terra, è necessario che abbiano da parte degli uomini una grande passione, un grande trasporto. E’ un mito perché nessun giudice riesce a sottrarre totalmente il suo giudizio ai limiti della sua cultura, ai limiti della sua coscienza, al buio delle sue fedi, all’imperscrutabilità dei suoi desideri, all’affanno, alla gaiezza della sua personale vicenda umana, al peso della sua estrazione sociale, alla sua ideologia e probabilmente anche ai problemi che ha con la sua amante. Naturalmente c’è un minimo che le norme devono evidentemente garantire perché a prescindere dalle personali vicende umane e dalle personali convinzioni del magistrato si possa avere almeno all’esterno una parvenza di imparzialità, ed è per questo che i nostri costituenti fissarono questi paletti minimi che sono gli articoli: 101, i giudici sono soggetti solo alla legge, la Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere; 104, il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, articolo 112 della Costituzione.
Alcuni progressisti pare si siano accorti che tutte queste norme debbano essere riviste. Non so a quale progresso essi pensino, ma ritengono che il Pubblico Ministero, ad esempio, di cui si parla tanto in questi ultimi tempi, debba rientrare, si dice, si legge sui giornali, nei suoi compiti funzionali ed istituzionali. Non so se una norma possa imporre al Pubblico Ministero di non uscire dai suoi compiti istituzionali. Quello che la norma deve fissare è quale sia il compito istituzionale del giudice. Lo si può punire nel caso in cui esca dai suoi compiti istituzionali, ma più di questo credo non si possa fare.
Infatti, il nostro Paese, con il solito strabismo, invece di vedere i veri e reali problemi, va alla ricerca di soluzioni che stravolgono poi, a mio giudizio, o potrebbero stravolgere, sto cercando con molta modestia o nei limiti che posso, naturalmente di introdurre alcuni temi che probabilmente potrebbero essere sottoposti alla vostra attenzione.
Una volta ci si scagliava contro i pretori d’assalto e si diceva che i pretori d’assalto minavano la certezza del diritto. La certezza del diritto, a mio giudizio è un mito. La norma va interpretata, va interpretata secondo la coscienza del momento storico che si sta vivendo. Se un pretore d’assalto un giorno ha detto che un povero lavoratore non può essere licenziato perché così riteneva dovesse interpretarsi la norma o dovesse interpretarsi la Costituzione, non vedo quale parzialità possa ravvisarsi in un pretore che pure interpretando secondo la sua personale convinzione ideologica una norma, abbia potuto commettere quello che altri potrebbero ritenere un errore.
Quello che più preoccupa, almeno il sottoscritto, potrebbe non preoccupare altri, evidentemente. In questo momento storico è il fatto che si voglia raggiungere la certezza del diritto, si pretenda di poter raggiungere la certezza del diritto attraverso una valutazione annuale dei criteri che il Pubblico Ministero dovrebbe seguire nell’esercizio dell’azione penale.
Secondo me è molto pericoloso, una cosa del genere è anche furba, perché chi l’ha proposta sa bene che probabilmente potrebbero esserci poche obiezioni al fatto che il Parlamento, annualmente, il potere legislativo, il potere sovrano, quindi il potere che si esercita per il popolo, al fatto che il Parlamento possa effettivamente ogni anno stabilire quali sono i criteri che si dovrebbero eseguire nell’esercizio nazionale.
Secondo me è una cosa, questa, sulla quale le coscienze dei giuristi dovrebbero ribellarsi, anche perché è insita in questa proposta una pericolosità sconvolgente: il fatto che si affidi al Parlamento una valutazione di questo genere, lo strabismo.
Lo strabismo di questo Paese è proprio questo, prima si criticavano i pretori d’assalto, a mio giudizio, posso anche sbagliare, ritenevano di introdurre in alcune loro pronunce direttamente principi costituzionali, forse sbagliavano, non voglio entrare nel merito della questione, oggi si cerca invece di risolvere problemi di difetto, non dell’ordinamento, ma di difetto di funzionamento dell’ordinamento che deve rimanere, secondo me, che sono un conservatore e mi vanto di essere un conservatore di questa Costituzione. Il difetto dell’ordinamento lo vogliono risolvere cambiando, stravolgendo l’ordinamento.
Questo mio giudizio è una cosa che nel caso fosse introdotta nel nostro ordinamento sarebbe del tutto sconvolgente. Così come si criticavano quei pretori, oggi si criticano i Pubblici Ministeri. Questo consente la nostra struttura organizzativa giudiziaria. Consente, purtroppo, che se mi occupo di una denuncia, di un’azione penale, non mi posso occupare delle altre cento, e con questo stabiliamo aprioristicamente se io devo perseguire solo ed esclusivamente degli scippatori, se devo perseguire solo ed esclusivamente i ladri d’auto o se invece devo perseguire o devo indagare a fondo sulla piaga della corruzione.
Il Parlamento, voi credete che con i venti che corrono al principio dell’anno direbbe ai Pubblici Ministeri di indagare sui fenomeni corruttivi dell’alta burocrazia, invece di dire che la burocrazia è una cosa che non si deve assolutamente ammettere e che va solo stabilito se si debba punire più il corruttore o il corrotto. Semmai va stabilito solo questo, oggi si vuole introdurre il criterio di valutazione aprioristica dell’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero. Questo, credo che sia uno dei problemi di cui questa Tavola Rotonda si può occupare.
Come diceva l’avv. Maurizio de Stefano, e su questo sono d’accordo, l’Italia, sul piano formale, sul piano dell’applicazione del contenuto del diritto alla giustizia, che appunto è il diritto all’imparzialità, su questo piano l’Italia forse è un pochino più avanzata degli altri paesi.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 1 ottobre 1982 stabiliva questo principio: "L’esigenza di assicurare un tribunale imparziale non può comportare l’esclusione dal collegio giudicante di un magistrato per la sola ragione che questi abbia in precedenza fatto parte dell’ufficio che ha istruito la causa".
Una soluzione contraria, fondata su una concezione rigida e formalistica dell’unità e dell’indivisibilità dell’ufficio del Pubblico Ministero, porterebbe ad una separazione eccessiva tra magistratura requirente e magistratura giudicante, suscettibile di sconvolgere il sistema giudiziario di molti stati della Convenzione Europea. Questo stabiliva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 1982, anche se auspicava evidentemente che il Pubblico Ministero non facesse parte di collegi giudicanti troppo faciloni.

brecht - L’imparzialità dei giudici
L’imparzialità dei giudici
Eppure, pretendono fare giustizia, giustizia imparziale, e per giunta neutrale. Di fronte ai veri, seri problemi degli sfruttati il giudice imparziale svanisce.
Un problema raramente affrontato: come si pone il giudice liberale di fronte alle classi? È neutrale? Può esserlo? Se la legge non è neutrale, il giudice può esserlo (19)?
La giustizia, dicono i liberali, «ha solo una bilancia per il ricco e per il povero, per il grande e per il piccolo». La decisione del giudice prescinde dalla considerazione delle persone e l’essenza della giustizia è l’imparzialità (20). Scrive Logan E. Bleckley: “Per quanto ne so, il tribunale è il solo luogo sulla terra dove il cattivo e il buono possono contendere fra loro su di un rigoroso piano di eguaglianza” (21). Ideologia.
Brecht non fa ideologia, invece demistifica: critica la giustizia liberalborghese che non è “vera” giustizia imparziale - critica, ma non è in grado di proporre alternative. Nessun marxista è stato, o è, in grado di proporle. Quando lo Stato sarà nelle mani dei proletari la giustizia neutrale verrà da sé. Non è venuta.
“La canzone dei tribunali […] Al seguito dei briganti vengono i tribunali. E quando gli innocenti vengono uccisi, i giudici si riuniscono attorno ai cadaveri e li condannano. Sulla tomba delle vittime vengono uccisi tutti i loro diritti. Le sentenze dei tribunali calano come ombre di mannaie e non basta. Ci vuole anche la sentenza in aggiunta?
“La canzone dei tribunali […] Al seguito dei briganti vengono i tribunali. E quando gli innocenti vengono uccisi, i giudici si riuniscono attorno ai cadaveri e li condannano. Sulla tomba delle vittime vengono uccisi tutti i loro diritti. Le sentenze dei tribunali calano come ombre di mannaie e non basta. Ci vuole anche la sentenza in aggiunta?
Dove volano gli avvoltoi? Il deserto li ha respinti: i tribunali li nutriranno. Qui l’assassino trova il suo rifugio, l’aguzzino il suo santuario. Qui il ladro cela la sua refurtiva avvolta nella carta delle leggi” (22).
Il giudice borghese si pretende imparziale, ma non lo è. Le cose potrebbero andare in modo diverso, se lo volessimo.
Il giudice borghese si pretende imparziale, ma non lo è. Le cose potrebbero andare in modo diverso, se lo volessimo.
I contadini credono nella giustizia. La invocano. Credono che una giustizia imparziale possa esserci. C’è un giudice a Berlino. Parla un personaggio brechtiano, un avvocato:
“abbiamo vissuto sempre delle beghe dei contadini, cocciuti come muli, che andrebbero a chiedere l’elemosina piuttosto che rinunciare a un loro diritto. Hanno sempre il gusto di litigare. Morirebbero dalla voglia di prendersi a coltellate [...] eppure appena capiscono che i processi costano [...] ecco che si calmano di botto, e ti lasciano in tronco la piú bella causa del mondo ...”
Occorre ricordare Franz Kafka: è un contadino balordo che si presenta davanti al palazzo perché vuol vedere «la legge» (23). Aspetterà invano. Ci dice Brecht:
”la legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla. E chi vuol cavare la sua parte da questo sfruttamento, deve attenersi strettamente alla legge.
“abbiamo vissuto sempre delle beghe dei contadini, cocciuti come muli, che andrebbero a chiedere l’elemosina piuttosto che rinunciare a un loro diritto. Hanno sempre il gusto di litigare. Morirebbero dalla voglia di prendersi a coltellate [...] eppure appena capiscono che i processi costano [...] ecco che si calmano di botto, e ti lasciano in tronco la piú bella causa del mondo ...”
Occorre ricordare Franz Kafka: è un contadino balordo che si presenta davanti al palazzo perché vuol vedere «la legge» (23). Aspetterà invano. Ci dice Brecht:
”la legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla. E chi vuol cavare la sua parte da questo sfruttamento, deve attenersi strettamente alla legge.
Brown - “Dunque lei ritiene i nostri giudici corruttibili!”
Peachum - “Al contrario, signor mio, al contrario! I nostri giudici sono assolutamente incorruttibili: nessuna somma è capace di corromperli fino al punto di farli giudicare secondo diritto” (24).
E ancora:
Aula di tribunale. Parla un vecchietto - “Egli è troppo potente”. Wang - “Vuole aprire dodici nuovi negozi”. Il falegname - “Come potrà essere giusta la sentenza, se il barbiere Shu Fu e la signora Mi Tzü, amici dell’imputato, sono anche amici del giudice?” La cognata - “Ieri sera hanno visto la signora Shin portare un’oca grassa nella cucina del giudice, su mandato del signor Shui Ta. Il grasso gocciolava fuori dalla cesta”.
E ancora:
Aula di tribunale. Parla un vecchietto - “Egli è troppo potente”. Wang - “Vuole aprire dodici nuovi negozi”. Il falegname - “Come potrà essere giusta la sentenza, se il barbiere Shu Fu e la signora Mi Tzü, amici dell’imputato, sono anche amici del giudice?” La cognata - “Ieri sera hanno visto la signora Shin portare un’oca grassa nella cucina del giudice, su mandato del signor Shui Ta. Il grasso gocciolava fuori dalla cesta”.
Entrano tre dei in toga ... (25).
Canzone dell’inerme bontà [o, se si vuole, dell’inerme giustizia]. […] gli dei non hanno mine e cannoni, corazzate, bombardieri e carri armati per atterrare i malvagi e salvare i buoni ...Eppure, pretendono fare giustizia, giustizia imparziale, e per giunta neutrale. Di fronte ai veri, seri problemi degli sfruttati il giudice imparziale svanisce.
giustizia imparziale
Diegostavo pensando che il nostro "giornale potrebbe un giorno non troppo lontano pubblicare un opuscolo dove vengono elencati gli indizi che ci portano a pensare che la magistratura o almeno una parte di essa sta manipolando la politica italiana sopratutto l opposizione. si poterbbe cominciare con veltroni: vi ricordate quando non voleva allearsi con di pietro? è bastato indagare e sputtanare un presidente di regione del suo partito per fargli cambiare idea. il politico in questione, difeso solamente da berlusconi, è poi stato scagionato. intanto di pietro è in parlamento... anche bersani non voleva allearsi con il molisano, ma indagini partite da bologna e poi salite fino a piacenza l hanno portato ad un abbraccio, ricordate? quanti di questi fatti? e se messi uno dopo l altro elencandone le conseguenze pensate non sarebbe interessante?
http://www.facebook.com/topic.php?uid=323950777458&topic=18273
sabato 12 febbraio 2011
38 Stratagemmi per ottenere ragione
A. Schopenhauer: 38 Stratagemmi per ottenere ragione
Conoscere questi stratagemmi, usati solitamente da è interessato più al proprio ego, che non alla conoscenza che può acquisire in una discussione, vi sarà sicuramente utile per difendevi da queste persone, riportando la discussione sui binari giusti, oppure semplicemente per troncarla prima che il sangue vi vada in ebollizione.
Testo ripreso da http://xoomer.virgilio.it/nowhere-now_here/38strata.html
Testo ripreso da http://xoomer.virgilio.it/nowhere-now_here/38strata.html
- L’ampliamento: Portare l’affermazione dell’avversario al di fuori dei suoi naturali limiti, interpretarla nella maniera più ampia e generale possibile ed esagerarla. Restringere invece la propria e circoscriverla nel senso più ristretto. Vedi n.23
- L’omonimia: Usare l’omonimia, per estendere l’affermazione presentata a ciò che, al di là del nome uguale, poco o nulla ha in comune con la cosa in questione; poi darne una confutazione lampante, e così fingere di avere confutato l’affermazione.
- Relativo e assoluto: Prendere l’affermazione presentata in modo relativo, come se fosse presentata universalmente, o almeno intenderla sotto tutt’altro aspetto e confutarla poi in questo secondo senso. Vedi n.19
- Partire da lontano: Quando si vuol trarre una certa conclusione, non la si lasci prevedere, ma si faccia in modo che l’avversario ammetta senza accorgersene le premesse (o le premesse delle premesse) una per volta e in ordine sparso. Si occulti il proprio gioco finché non è stato ammesso tutto ciò di cui si ha bisogno. Vedi n.05, 09
- Premesse false … (04bis): Per dimostrare la propria tesi ci si può servire anche di premesse false, e ciò quando l’avversario non ammetterebbe quelle vere. Si prendano allora tesi in sé false ma vere ad hominem (concordanti con altre affermazioni e con verità soggettive e relative) e si argomenti ex concessis a partire dal modo di pensare
- Postulare quel che si dovrebbe dimostrare: 1) Ricorrendo a nomi o concetti interscambiabili. 2) Farci concedere in generale quel che è controverso nel particolare. 3) Quando viceversa 2 cose conseguono l’una dall’altra, si postula una per dimostrare l’altra. 4) Farsi ammettere ogni singolare per dimostrare l’universale.
- Furbamente erotematici: Domandare in una sola volta e in modo particolareggiato molte cose (nascondendo dove si vuole arrivare). Esporre invece rapidamente la propria argomentazione a partire da ciò che è stato ammesso.
- Per gli irascibili: Suscitare l’ira dell’avversario, tormentandolo e facendogli apertamente torto in modo sfacciato. Non sarà più in condizione di ragionare.. Vedi n.23, n.27
- A balzi depistanti (04ter): Porre domande con spostamenti di ogni genere e servirsi delle sue risposte per trarre conclusioni diverse e perfino contrarie. Non dargli comunque modo di prevenire la nostra conclusione.
- Contrari: Di fronte a risposte negative date di proposito dall’avversario, chiedere il contrario della tesi di cui ci si vuole servire per avere la sua approvazione. O almeno sottoporgli la tesi e il suo contrario per non fargli capire quale vogliamo che lui affermi.
- Indirettamente: Non chiedere di concederci la verità generale se ci sono concessi dei singoli casi di un’induzione. Introdurla in seguito come già stabilita e concessa facendogli credere di avercela concessa. E così sarà per gli ascoltatori.
- Scelte appropriate: In casi di concetto generale senza nome preciso, scegliere nomi o definizioni attraverso similitudini che siano favorevoli alla nostra affermazione. Stratagemma usato istintivamente nelle parole che si utilizzano …
- Accostamenti ad arte: Presentare una tesi opposta a quella che vorremmo far accettare e far scegliere all’avversario. Ma l’opposto, esprimerlo in modo assai stridente e a rischio di paradosso cosicchè la nostra tesi appare la più probabile.
- Impertinenza: Se l’avversario non arriva a favorire la conclusione che abbiamo in mente, la si enuncia e si esclama trionfanti come se fosse stata dimostrata.
- Massima impertinenza: Se presentiamo una tesi paradossale che ci mette poi in difficoltà, sottoponiamo, come se ne volessimo trarne la dimostrazione, una tesi giusta ma non del tutto evidente: se l’avversario la respinge lo conduciamo /ad absurdum/ e trionfiamo; se la respinge, non tutto è perduto e potremmo ricorrere ora al n.14
- /Ad hominem/ o /ex concessis/: Di fronte ad un’affermazione altrui dobbiamo cercare se non sia in qualche modo anche solo in apparenza, in contraddizione con qualche cosa che lui ha detto in precedenza o che qualcuno che lui approva ha lodato etc. Se difende il suicidio, gridargli subito: “perché non ti impicchi?” …
- Sottili salvataggi: Incalzati da controprove, ci si può salvare con sottili distinzioni che non avevamo trovato prima, se la questione consente doppi casi o significati.
- Sabotaggi: Se siamo di fronte ad argomentazioni altrui che ci batterranno, non consentire di concludere e formularle, interrompere e sviare per tempo, spostandosi su altre questioni. Vedi n.29
- Dal particolare al generale (03bis): Sollecitati a contrastare un determinato punto, portiamo la cosa sul generale e parliamo contro tali generalità.
- Omissioni: Date e concesse dall’avversario le premesse, tiriamo noi direttamente la conclusione. Perfino se manca qualche necessaria premessa, la si assuma ugualmente concessa.
- Pan per focaccia: Di fronte ad argomentazioni apparenti o sofistiche, meglio liquidarle con contro argomentazioni altrettanto sofistiche ed apparenti.
- Ribaltoni: Spacciandola per una /petitio principii/ rigettiamo la richiesta di ammettere una cosa da cui il problema in discussione conseguirebbe immediatamente.
- Esagerare (01bis + 08bis): Se una affermazione potrebbe essere vera in un particolare ambito, stuzzicare l’avversario per indurlo ad esagerare oltre il vero. E una volta confutata l’esagerazione è come aver confutata la partenza.
- Forzare la consequenzialità: Dalla tesi avversa trarre a forza, attraverso false deduzioni e deformazioni, altre tesi anche non corrispondenti, ma assurde o pericolose. Facendo sembrare che queste discendano dalla sua tesi la si può agevolmente confutare. Vedi n.01
- Istanza: Tra i tanti casi posti per porre un principio generale, Basta che si presenti un unico caso per il quale il principio non è valido, e questo è demolito. Attenzione agli inganni e alle apparenze.
- /Retorsio agumenti/: Quando l’argomento che l’avversario vuole usare può essere usato meglio contro di lui. “è un bambino, gli si conceda pur qualcosa”; /retorsio/ “Proprio perché un bambino bisogna …(a scelta)”
- Implacabili (08ter): Se l’avversario ad un certo punto inaspettatamente si adira, avete toccato un punto debole ed occorre insistere senza tregua.
- Talvolta: Quando dei colti disputano di fronte ad incolti, avanzare obiezioni di cui solo un esperto vede l’inconsistenza; agli occhi degli ascoltatori incolti l’obiezione è valida e batte l’interlocutore che può perfino essere facilmente messo in ridicolo. Chi ride è dalla propria parte facilmente. L’avversario non riuscirà a ribattere sensatamente e soprattutto altrettanto in breve per trovare ascolto.
- Diversione (18bis): Accorti di essere battuti si fa di colpo una diversione e si comincia di colpo a parlare d’altro come se fosse pertinente ed efficace per confutare l’avversario. Senza ritegno si potrà poi parlare non della questione ma dell’avversario stesso.
- /Argumentum ad verecundiam/: Invece delle motivazioni, ci si serva di autorità, secondo le conoscenze dell’avversario. Si ha buon gioco ricorrendo ad autorità rispettate dall’avversario. All’occorrenza le autorità si possono non solo distorcere, ma addirittura falsificare o perfino inventare. Notare che la gente vede molte autorevoli personalità ed ha profondo rispetto per gli esperti di ogni genere. Oltre ad accettare come vere opinioni che sono vere solo perché universalmente accettate …
- Ironie (30bis): Se non si sa opporre nulla alle ragioni esposte dall’avversario, ci si dichiari con fine ironia, incompetenti e “sarà senz’altro giustissimo quel che dice, ma non si capisce” e si rinuncia ad esprimersi. Il tiro contrario è “Mi permetta, con il Suo acume dev’essere una inezia capirlo, sarà per colpa della mia cattiva esposizione” e poi sbattergli la cosa sul muso in modo che piaccia o no, debba capirla. E risulti chiaro che prima effettivamente era lui a non capirla.
- Insinuare sospetti: Per accantonare o almeno rendere sospetta una affermazione a noi contraria, ricondurla ad una categoria odiata. Anche se la relazione è vaga e tirata per i capelli. Con ciò supponiamo: che l’affermazione è risaputa ed è già stata ampiamente confutata …
- Vero in teoria, falso in pratica: Un sofisma che ammette le ragioni e tuttavia nega le conseguenze. Questo contraddice la regola: da una ragione al suo effetto vige la consequenzialità.
- Insistere: Un avversario che a una domanda o argomento non dà una risposta diretta, non prende posizione precisa, evade in vari modi … questo dimostra che abbiamo toccato un punto marcio. Insistervi senza sosta.
- Schopenhauer è tutto qui: Funziona solo in circostanze particolari ma rende superflui tutti gli altri: anzichè agire sull’intelletto con dei ragionamenti, si agisca sulla volontà con motivazioni e l’avversario o gli uditori, se hanno gli stessi suoi interessi, saranno conquistati alla nostra opinione fosse anche presa dal manicomio. Per lo più, infatti, una briciola di volontà pesa più di un quintale di giudizio e persuasione. Se l’avversario avverte che la validità della sua opinione arrecherebbe notevole danno al suo stesso interesse, la lascerà cadere come un ferro bollente. Funziona anche con uditori, e non l’avversario, che hanno un interesse comune; a loro le sue tesi appariranno deboli e miserabili anche se ottime.
- Sbigottire con sproloqui: Sconcertare, sbigottire l’avversario con sproloqui insensati. Se è consapevole della propria debolezza, si impressiona e si può perfino spacciarla come la prova più incontestabile della propria tesi.
- Uno dei primi: Quando l’avversario pur avendo ragione sceglie per fortuna una prova sbagliata, non avendo difficoltà a confutarla, spacciamo questa per una confutazione della cosa. In fondo spacciamo un /argumentum ad hominem/ per uno /ad rem/
- Ultimo: Quando ci si accorge che l’avversario è superiore e finiremo male, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani. Si passi dall’oggetto del contendere al contendente attaccando la persona. Si tratta di un appello delle forze dello spirito a quelle del corpo o all’animalità. Una regola molto popolare. Ma come rispondere? Non basta evitare di essere offensivi perché mostrando a uno con calma che ha torto, e dunque pensa e giudica in maniera sbagliata, lo si amareggia più che con qualsiasi espressione oltraggiosa. Perché … “ogni piacere dell’animo e ogni ardore risiedono nell’avere qualcuno, dal confronto con il quale si possa trarre un alto sentimento di sé “. La vanità richiede soddisfazioni e nessuna ferita duole più di quelle che la colpiscono. Di qui l’amarezza dello sconfitto e il ricorso a quest’ultimo stratagemma dove il sangue freddo è d’aiuto. Si risponde con calma e senza badare alle offese si ritorna sulla cosa in questione.
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