domenica 12 giugno 2011

Elezioni CSM: voto di scambio?

Il 4 e 5 luglio i magistrati eleggeranno i 16 rappresentanti togati in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, quel cosiddetto organo di autogoverno dei magistrati che esprime ipso-iure il concetto di conflitto d'interessi. I magistrati che sono chiamati a controllare (e sanzionare) l'operato dei magistrati costituiscono i due terzi del Consiglio, vengono eletti dai magistrati con un sistema (da poco riformato) che nella sostanza è “pilotato” dalle correnti che già governano dell'Associazione Nazionale Magistrati. Poco cambia se la recente “riforma elettorale”, approvata dal Parlamento Italiano in materia di CSM, consente anche a magistrati indipendenti di competere. Gli eletti saranno i soliti “designati”, si accettano scommesse. Tuttavia non bisogna ignorare che sei intrepidi togati abbiano esposto facce e programmi. Timidamente. Forse troppo.


Milena Balsamo
(Giudice del Tribunale di Pisa), che può essere votata fra i giudicanti; Salvatore Cantàro (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma), che può essere votato fra i pubblici ministeri; Fernanda Cervetti (Consigliere della Corte di Appello di Torino) che può essere votata fra i giudicanti; Edoardo Cilenti (Consigliere della Corte di Appello di Napoli - Sezione Lavoro), che può essere votato fra i giudicanti. Si sono aggiunti Paolo Corder e Carlo Fucci, che appartengono ad una corrente (Unità per la Costituzione) e non avendo ottenuto la candidatura “intra-menia” hanno optato per l'indipendenza (temporanea).

Il dato più rilevante è un altro, non si riesce a conoscere i nomi dei candidati dalle “correnti”. O, perlomeno, non è semplice ai non addetti ai lavori. Già questo potrebbe essere un servizio reso dai candidati indipendenti alla cittadinanza italiana che viene tenuta “fuori” dalla vicenda elettorale come se la composizione del CSM fosse una questione privata fra magistrati. Non è così, ovviamente, come si comprende da poche considerazioni. Supponiamo che un magistrato che sta indagando su altri magistrati (ex art. 11 C.P.P.) sia candidato per la “quota P.M.”. I suoi indagati, esprimendosi attraverso il voto, sono del tutto liberi o avvertono un qualche condizionamento? Se il primo nella sezione dove votano i secondi non dovesse vedersi riconosciuto alcun voto, sarebbe del tutto sereno quando tornerà al suo lavoro di PM? Un ultimo esempio. Se un magistrato PM si occupa di alcune decine di procedimenti penali che vedono denunciati altri magistrati (sempre i soliti due o tre) ben identificati e, invece che iscriverli nel registro degli indagati, procede contro ignoti; credete davvero che quei soliti (ed i loro amici e sodali) possano votare serenamente per un diverso candidato al CSM? Ebbene sarebbe molto più semplice (ed anche doveroso) che si conoscessero gli aspiranti Consiglieri Superiori affinché si potesse spiegare agli italiani che la pratica del voto di scambio non è prerogativa della bistrattata politica ma di ogni circostanza in cui l'espressione della volontà personale determina posizionamenti redditizi e fondamentali nell'ambito della Res Pubblica. Ovviamente, pur non potendo svolgere il tema in termini preventivi, nulla impedirà di effettuare le considerazioni a consuntivo. Almeno gli eletti dovranno pur essere noti, prima o po

Ecco gli stipendi d’oro che le toghe non mollano

RomaSacrifici per tutti, ma le toghe non ci stanno. Appena il governo ha parlato di toccare i loro stipendi si sono ricompattate all’istante, superando ogni solco di corrente. E l’Anm è tornata ad essere il faro di tutti i magistrati, in questa battaglia. Stato d’agitazione subito, forse domani la proclamazione di uno sciopero.
Succede così ogni volta. Il ministro Angelino Alfano ricorda bene la stessa unità d’azione 2 anni fa, quando si arrivò ai tagli in busta paga per gli scatti di anzianità e per l’adeguamento triennale.
Ora ci risiamo. Prima le avvisaglie di Umberto Bossi e ora la manovra che prospetta un nuovo taglio, valutato tra i 100 e i 400 euro mensili a seconda dell’anzianità, oltre al mancato adeguamento di stipendio che nel 2013, secondo il «sindacato delle toghe», farebbe perdere complessivamente il 30 per cento del potere d’acquisto.
E dire che nell’ultima mappa delle retribuzioni in Italia fatta dall’Istat ad aprile 2009, i magistrati figurano come la categoria più ricca, con oltre 110 mila euro lordi all’anno, cioè una media di 4.700 netti al mese, mentre colf e insegnanti sono in fondo, con 16-18 mila euro.
L’ultimo report biennale della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), quello del 2008, calcola che gli stipendi degli 8 mila magistrati italiani entrano in una forbice dai 37.454 euro ad inizio carriera (più della Francia, poco meno di Germania e Spagna, ben al di sotto di Gran Bretagna e Danimarca) ai 122.278 euro alla fine (superiore a Germania, Francia e Spagna, quasi pari alla Danimarca, meno del Regno Unito).
Loro, naturalmente, la vedono in modo ben diverso. Le correnti, dalla moderata Magistratura indipendente a quella rossa Magistratura democratica, protestano a gran voce. E l’Anm ripete che un buono stipendio è la maggiore garanzia d’indipendenza e autonomia, un antidoto contro ogni tipo di pressione.
I magistrati spiegano anche che il confronto con i colleghi degli altri paesi è falsato, perché loro hanno un carico di lavoro pro capite molto più elevato, visto che il numero dei processi da noi è ben superiore che all’estero.
Ma vediamoli oggi questi stipendi medi netti delle toghe italiane. Si entra in magistratura come tirocinanti con 2.400 euro al mese. Dopo 10 anni, si arriva a 3.500. Passati i 20, a 5.200. Oltre i 30, si toccano i 6.200. E all’ultimo livello, con 45 anni di anzianità, si guadagnano 7.300 euro netti al mese. Solo il Primo Presidente della Cassazione spicca sulla massa, con quasi mille euro di più al mese.
Per capire meglio bisogna considerare che la magistratura è in gran parte «giovane». Circa 5mila toghe hanno meno di 20 anni di servizio, mentre le altre 3mila superano questo livello di anzianità. La carriera dal 2007 non è più automatica, ma ci sono le valutazioni di professionalità ogni 4 anni, fatte dal Csm su criteri ancora tutti da definire, con uno scatto del 4-5 per cento.
Parliamo, è bene precisarlo, solo di magistrati ordinari, perché con la legge finanziaria 2001 l’unità dell’ordine è stata rotta. Sono infatti stati differenziati gli stipendi di quelli amministrativi e contabili, che hanno lo stipendio pari alla Quinta valutazione di professionalità dopo 8 anni dalla nomina e quindi dopo 13 anni di attività, cioè con 7 anni di anticipo rispetto ai magistrati ordinari. Insomma, gli appartenenti a Tar, Consiglio di Stato e Corte dei Conti sono ben più ricchi dei colleghi impegnati in tribunali, procure, Corti d’Appello e Corte di Cassazione.

Elezioni del Csm: Magistratura democratica perde un seggio. Risultato storico: eletto Paolo Corder, un «senza corrente»

Perde Magistratura democratica, avanzano i moderati, e per la prima volta viene eletto un giudice fuori dalle correnti. Questo il risultato delle elezioni del 4 e 5 luglio per le elezioni dei 16 consiglieri «togati» del prossimo Consiglio superiore della magistratura (quello in carica scadrà alla fine di luglio). Su 8.584 magistrati aventi diritto, hanno votato in 7.402, circa l’86%. Md, storica corrente di sinistra, perde un seggio, passando da quattro a tre consiglieri. Quel seggio, però, non va a nessuno degli altri gruppi organizzati, le cui proporzioni restano invariate: 6 consiglieri a Unità per la costituzione, la corrente di centro, che pure perde consensi in termini di voti; 3 ciascuno al Movimento per la giustizia, di sinistra, e a Magistratura indipendente, il gruppo più moderato che avanza in termini di voti, ma non riesce a ottenere nessun seggio in più.
Il seggio perso da Md va al giudice di Venezia Paolo Corder, che in passato ha fatto parte della giunta dell’Associazione nazionale in quota a Unicost, ma in queste elezioni si è presentato come indipendente. È la prima volta che questo accade.
La sconfitta di Md è la seconda consecutiva: quattro anni fa la corrente era passata da cinque a quattro consiglieri. Oggi torna alle dimensioni che aveva prima del 1994. «Il Csm si sposta a destra», commenta il nuovo consigliere del Csm Vittorio Borraccetti, eletto nelle liste di Md per la categoria dei pm, colpito anche dal fenomeno «alto numero di schede bianche», triplicate rispetto al 2006. «È il segno che nella magistratura c’è una certa sfiducia verso il Csm. D’altra parte siamo oggetto di una denigrazione sistematica, che evidentemente qualcosa ha lasciato».
Ecco i 16 eletti «togati» del Csm:
Movimento per la giustizia
Paolo Carfì, Aniello Nappi, Roberto Rossi
Unicost
Paolo Auriemma, Pina Casella, Giovanna Di Rosa, Riccardo Fuzio, Alberto Liguori, Mariano Sciacca
Magistratura indipendente
Alessandro Pepe, Antonello Racanelli, Tommaso Virg
Magistratura democratica
Vittorio Borraccetti, Franco Cassano, Francesco Vigorito
Eletto indipendente dalle correnti
Paolo Corder

Il taglia-spese inizia a funzionare


La ( ur/e (ICi conti Cnnfiv'nt(( lu llr Ccs.Sitù (HI(t (rn(r((((Cin/(( (In 7rt'mn(1ti Il taglia-spese inizia a funzionare I risparmi conseguiti nei conti superano duelli programmati DI MICHELE ARNESE Imagistrati contabili come al solito sono parchi di aggettivi e prodighi di numeri. Ma dai numeri indicati ieri nella relazione sulla finanza pubblica italiana si evince un giudizio chiaro e positivo per la gestione tremontiana dei conti statali: la spesa è calata, le entrate tengono, i risultati del contrasto all'evasione fiscali sono evidenti, i saldi di bilancio corrispondono alle attese, il percorso concordato con Bruxelles per raggiungere il tendenziale pareggio di bilancio entro il 2014 è condivisibile. Certo, oltre a una manovra di correzione per gli anni 2013 e 2014 del 2,3 per cento del PII che l'esecutivo ha già annunciato e che approverà a metà giugno per circa 40 miliardi di euro, la Corte presieduta da Luigi Giampaolino dice che per ridurre il rapporto debito-pil alla velocità auspicata dalla Commissione europea ci sarà bisogno di trovare risorse per circa 46 miliardi di euro l'anno. Ma su modi e tempi della riduzione progressiva del rapporto debito-pil al 60 per cento, dicono fonti del Tesoro, nulla è ancora deciso: se ne discuterà al Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. Forse per questo, scherzando, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha definito il rapporto della magistratura contabile sulla finanza pubblica «un genere letterario non definibile come happy hours' . Eppure non mancano le soddisfazioni per il titolare del Tesoro, scorrendo il rapporto presentato ieri. Infatti il consuntivo per il 2010 è più che lusinghiero. Basta rimarcare, come fa la Corte nelle 283 pagine del rapporto, che «i risparmi di spesa conseguiti nel 2010 sono tanto più significativi in quanto superiori ai valori programmatici», assunti «prima nella Ruef (Relazione unificata di economia e finanza, ndr) dell'aprile 2010 e poi confermati nella Dfp (Decisione di finanza pubblica, ndr) dello scorso settembre». Nel confronto con quest'ultimo documento, il maggiore risparmio realizzato ammonta a oltre 14 miliardi e consegue per oltre il 40 per cento da una minore spesa in conto capitale (-5,5 miliardi), per poco meno del 50 per cento da un più forte contenimento della spesa primaria corrente (6,7 miliardi), per la restante parte da un minore esborso per interessi (1,9 miliardi). Chiosano i magistrati: «Sia la spesa in conto capitale, sia quella per interessi, hanno contribuito al risparmio aggiuntivo in una proporzione maggiore rispetto al loro peso sul totale delle uscite pubbliche (rispettivamente pari all'8 e al 7 per cento). Per la sua eccezionalità nella prospettiva storica, è tuttavia il superamento degli obiettivi di spesa primaria corrente ad assumere particolare rilevanza, tanto da costituire una sorpresa per lo stesso governo». C'è un rovescio della medaglia, comunque, nel rigore sulle spese per gli investimenti: «La caduta delle spese in conto capitale è superiore alle stesse previsioni governative, ma, allo stesso tempo, non è del tutto sorprendente. Basti, in proposito, considerare che, fin dal 2002, i ripetuti provvedimenti che hanno disposto tagli, lineari o non, alla spesa statale non hanno salvaguardato gli investimenti e le spese in conto capitale, palesando un orientamento contraddittorio con gli impegni programmatici, di natura strutturale, verso il rilancio e l'accelerazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture». Nel Rapporto della magistratura contabile si evidenzia, anzi, come i tagli siano stati sempre proporzionalmente molto più severi per le spese in conto capitale. Fino ad arrivare, con il decreto legge 112/2008, a sottoporre a tagli, per il 2010, poco più del 4 per cento delle spese correnti dello Stato al netto degli interessi, e, invece, oltre i150 per cento della spesa in conto capitale.

Io, magistrato, accuso: “Molti miei colleghi cercano solo lo show”

Io, magistrato, accuso: “Molti miei colleghi cercano solo lo show”

Cerqua, presidente alla Corte d’appello di Milano, denuncia i giudici che non applicano le leggi ma attaccano chi le fa. E avverte: “Le lotte di potere tra correnti affossano la nostra reputazione”. Pubblichiamo ampi stralci della postfazione di Luigi Domenico Cerqua al romanzo di Pierre Boulle (1912-1994) «La faccia o il procuratore di Bergerane» (edito da Liberilibri nel 2008). Cer­qua, presidente della quinta sezione della corte d’Appello di Milano,è studioso e docente univer sitario di diritto penale e direttore della collana di studi «La biblioteca del penalista».
La prova testimoniale costituisce un momento essenziale nella ricostruzione del fatto processuale, perché mediante le dichiarazioni dei testimoni si cerca di giungere alla verità processuale. È attraverso le «ombre del passato» (per usare le parole di Francesco Carnelutti) che il giudice perverrà alla ricostruzione del fatto: ombre sfocate, talora inattendibili, non per mala fede, che condurranno alla conoscenza di una vicenda passata, filtrata attraverso la personalità dei testimoni, deformata dalle inevitabili distorsioni dei meccanismi percettivi, dalle interferenze dei processi mnestici, dai pregiudizi e dagli stereotipi. La verità processuale: vengono alla mente le verità della signora Frola e del signor Ponza, suo genero, nel «processo» borghese di Luigi Pirandello, e la verità inafferrabile in quella dialettica di luci e ombre che pervade Rashomon di Akira Kurosawa.
Pericoloso il giudice che si lasci influenzare dall’opinione pubblica, che potrebbe incidere sulle sue valutazioni e indurlo, anche inconsciamente, a una ricerca parziale e ad una ricostruzione distorta dei fatti (…). Altrettanto pericoloso è il giudice che si senta investito di una missione, come quella di combattere il malcostume, la degradazione morale, il terrorismo. Ad altri questi compiti (…).
Molto più riduttivamente (se si vuole), spetta al giudice applicare la legge, espressione della volontà popolare, con equilibrio, intelligenza e sapienza. Sine spe, sine metu, si potrebbe dire. Lontane dalla sua professione dovrebbero essere le lusinghe del consenso popolare e della pubblicità.
Scriveva Jeremy Bentham che soltanto la trasparenza e la pubblicità dei processi potevano cancellare l’arbitrio e la prepotenza, e che soltanto il tribunale della pubblica opinione era in grado di dare forma umana e regola civile all’amministrazione della giustizia. Non v’è dubbio che la pubblicità del dibattimento costituisce nel nostro ordinamento un diritto fondamentale dell’imputato, oltre che espressione del controllo da parte della collettività del corretto esercizio del potere giurisdizionale. Ma è del pari certo che oggi i meccanismi del processo sono diventati sempre più contorti e difficili da comprendere e che il controllo si esercita soprattutto dall’interno delle abitazioni: il tribunale della pubblica opinione siede oggi in permanenza nei salotti, davanti alla televisione, dove ognuno, ancorché privo di nozioni di diritto e ignaro dei complessi meccanismi che regolano il processo penale, si sente autorizzato, alla vista di «avvincenti» spettacoli serali, a esprimere il proprio giudizio.
Le cronache italiane ci svelano l’immagine di un Paese nel quale diffuso è il sistema della corruzione, tanto più allarmante quando si insinua nelle aule dei tribunali, come nel dramma Corruzione al Palazzo di Giustizia di Ugo Betti: vengono alla mente anche vicende recenti. Il sistema della corruzione ha mostrato purtroppo la propria capacità di radicamento nella società civile, innervandosi profondamente in ogni settore: negli appalti, nei contratti, nelle licenze e nelle concessioni della pubblica amministrazione, in ambiziose operazioni finanziarie sino a raggiungere le università, gli ospedali, e persino le squadre di calcio e i festival canori, come amaramente sostenuto da molti. Da una recente indagine condotta da Morris L. Ghezzi e Marco A. Quiroz Vitale è emerso che non è affatto soddisfacente l’immagine pubblica della magistratura in Italia. Tante le ragioni del giudizio negativo: soprattutto la politicizzazione, il protagonismo, la scarsa laboriosità dei giudici. Fondate alcune critiche: basti pensare alla talvolta esasperata divisione della magistratura in «correnti» e ai benefici che ne derivano per i magistrati in esse più «attivi»; divisione certo non giustificata dalla necessità di garantire la pluralità delle opinioni e di assicurare un fecondo dibattito tra le varie componenti nelle quali si articola la magistratura. Criticabile anche il protagonismo di taluni magistrati, sia quando, esorbitando dalle loro funzioni, si pongono in contrapposizione con chi sta facendo le leggi: sia quando davanti ai riflettori dei mezzi di comunicazione di massa raccontano le proprie vicende personali, esibite e ridotte a spettacolo.
Infondate altre critiche: la lunghezza dei processi non dipende soltanto dai magistrati, la crisi della giustizia non è addebitabile solo a loro. Se i lettori di questo libro entrassero in un tribunale, ne visitassero i locali e assistessero a un processo penale, noterebbero subito tante disfunzioni e inefficienze, ma si renderebbero pure conto delle scarse risorse che vengono destinate all’amministrazione della giustizia. Se poi esaminassero il testo di una legge rimarrebbero colpiti dalla sciatteria della formulazione delle varie disposizioni (neppure la consecutio temporum viene talora rispettata) e dalla oscurità del messaggio, che è diretto a tutti i cittadini. In argomento, illuminante un saggio di Michele Ainis.
Non è facile la professione di magistrato. E non è retorica quando si parla di un uomo solo, titolare di un potere «terribile» e, al tempo stesso, indispensabile; criticato talora ingiustamente, angosciato, nell’esercizio della sua funzione che investe la coscienza profonda, dalla quotidiana contemplazione delle sventure umane e in lotta con il peso dell’abitudine che lo logora sino a fargli credere che il decidere della libertà altrui sia diventato un atto di ordinaria amministrazione. Ricordate il Diario di un giudice di Dante Troisi?

Le lacrime dei coccodrilli su Falcone

Caro Granzotto, le chiedo un aiutino: mi fornisca alcuni nomi di personaggi, politici e magistrati famosi che firmarono un documento contro Giovanni Falcone. È infatti stomachevole l’ipocrisia sulle celebrazioni di Giovanni Falcone da parte di gente che nei momenti tragici e difficili ha fatto di tutto per contrastarlo e combatterlo. La denuncia informatica nei loro confronti dovrebbe essere continua per smascherarli e denunciarli.
e-mail

Sono già smascherati, caro Pieri. E da tempo. Però è come se nulla fosse. Loro seguitano a fare gli ipocriti e la società civile di area manettara e giustizialista a non tener conto di quella volgare e smaccata simulazione di buoni sentimenti. Il documento al quale lei si riferisce è del dicembre del 1991: firmato da 63 magistrati, primi dei quali Giancarlo Caselli, Antonino Caponnetto e Elena Paciotti, contestava, bocciandola, la superprocura antimafia fortemente voluta da Giovanni Falcone, definendola «strumento inadeguato, pericoloso e controproducente». Una dichiarazione di guerra in piana regola e che diede il via a una campagna di delegittimazione («Mi insozzano», per usare le parole di Falcone) condotta principalmente da coloro che oggi la stomacano. Non essendo riusciti a impedire la costituzione della superprocura, quelli che oggi ne parlano a ciglio umido, chiamandolo amico e fratello, scesero in campo per impedire, almeno, che Falcone ne prendesse la guida, a tal proposito indicendo uno sciopero con tanto di adunata nel Palazzo di giustizia di Roma dove prese la parola, applauditissima, Elena Paciotti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Anm alla quale in seguito diede manforte, nella martellante (e umiliante) campagna denigratoria, la sinistra (la stessa che oggi lo piange martire e lo porta ad esempio) e la Rete di Leoluca Orlando, il quale giunse ad accusare Falcone di tenere «le prove nei cassetti» per non coinvolgere nelle inchieste certi notabili politici.
Il motivo di tanta ostilità è noto: Giovanni Falcone aveva in più occasioni denunciato le storture del sistema giudiziario deprecando la politicizzazione del Consiglio superiore della magistratura («Il Csm è diventato una struttura da cui il magistrato si deve guardare, con le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica. Quanti altri danni deve produrre questa politicizzazione della giustizia?»). Invocando un freno alla discrezionalità delle Procure («Mi sento di condividere l’analisi secondo cui, in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del Pm, saranno sempre più gravi i pericoli che pressioni informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l’esercizio di tale attività»). E, non ultimo, dissentendo dai colleghi che invece di combattere la mafia costruivano teoremi sulla sua cupola (politica) cercando - sopra tutto attraverso i pentiti - di raccoglie le prove della sua esistenza («Per non so quale rozzezza intellettuale, il nostro terzo livello è diventato il “grande vecchio”, il “burattinaio”, che, dall’alto della sfera politica, tira le fila della mafia. Non esiste ombra di prova o di indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia, trasformata in semplice braccio armato di trame politiche»). Rozzezza intellettuale che seguita a restare ben viva nonostante lo smacco rappresentato dal recente caso del super pataccaro Massimuccio Ciancimino. «Icona dell’antimafia» per quei magistrati e quei giornalisti manettari che oggi si dicono eredi e seguaci del «caro Giovanni» e del suo alto insegnamento. Infingardaggine che a lei, caro Pieri, così come a me impone l’assunzione di un buon emetico.

Imparziali o comunisti? Berlusconi odia i giudici, i giudici odiano Berlusconi


Mettere in dubbio l'imparzialità dei magistrati e della giustizia in generale, vuol dire destabilizzare una società dal profondo. Gli uomini hanno accettato di delegare ogni strumento di giustizia allo Stato, un soggetto imparziale che in nome del popolo (nel nostro caso italiano) cerca (perché imperfetto) di preservare la pace, tramite la giustizia derivata dal diritto positivo.
Le leggi sono fatte dall'uomo per l'uomo e in quanto tali sono soggette a forme devianti come le ideologie. Il mantenimento, quanto più possibile, dell'imparzialità e il perpetuo nascondere le proprie passioni politiche o, più semplicemente, ideologiche, fa del giudice un buon servitore dello Stato.
Il presidente del Consiglio Berlusconi sbaglia nell'attaccare costantemente la magistratura, definendola addirittura «una metastasi del nostro sistema attuale», poiché in questa maniera risveglia gli istinti primordiali insiti in tutti noi uomini che, da tempo immemore, abbiamo deciso di abbandonare lo stato di natura. La magistratura, dal canto suo, sembra confondere il rispetto delle leggi (come fattore oggettivo) con il senso di giustizia (del tutto soggettivo), consentendo al suo interno la costituzione delle cosiddette correnti, di cui Magistratura Democratica è un esempio.
La giustizia deve essere imparziale e non correntizia o portatrice di idee anche velatamente politiche. Detto questo, rimane inaccettabile il lessico berlusconiano, dai giudici «metastasi», alle «toghe rosse», fino al più esplicito «giudici comunisti».
Il miglior modo per evitare una simile profusione di contumelie sarebbe quello di fare totale pulizia e chiarezza, all'interno della magistratura, per fugare ogni dubbio di parzialità. Chiedere la totale sterilità ideologica prima ancora che politica di chi è preposto al rispetto delle leggi è pressoché impossibile.
Chiunque, dotato di senso civico e discreto livello culturale, nel corso del suo curriculum studiorum e nell'evoluzione della sua carriera lavorativa, inevitabilmente dovrà confrontarsi con altri "soggetti pensanti", con libri, con la società. Con quest'estrema semplificazione, si vuole intendere come sia arduo credere che un uomo, in mezzo ad altri uomini, non sviluppi una sua coscienza ideologica e politica.
Se da un lato Berlusconi sbaglia a mettere in dubbio l'operato della magistratura, mettendosi così al di sopra della legge per l'unico motivo che essa chiede il conto a chiunque, presidente del Consiglio incluso, dall'altro Unicost, Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente e Movimento per la Giustizia non fanno altro che deviare la giustizia dal suo corso unitario.
Prendiamo come esempio le "mission" delle suddette Unicost, Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente e Movimento per la Giustizia: partiamo dalla prima.
UNICOST: «La terzietà costituzionale, il pluralismo interno, il non collateralismo partitico costituiscono il patrimonio comune di tutti gli aderenti a Unità per la Costituzione.
Per pluralismo interno intendiamo libertà di manifestazione d'idee e possibilità di confronto dialettico: il confronto necessita di regole ed implica sintesi politica.
Non collateralismo significa presa di distanza da ogni centro di potere esterno o interno alla magistratura: valore questo da praticare in concreto».
MAGISTRATURA DEMOCRATICA: «L'Associazione ha come obiettivi:
  1. Lo sviluppo di una cultura giurisdizionale europea fondata sul rispetto, in ogni circostanza, dei principi dello Stato di diritto democratico, tra i quali spiccano in primo luogo il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
  2. La protezione delle differenze tra gli esseri umani e dei diritti delle minoranze, specialmente dei diritti degli immigrati e dei meno abbienti, in una prospettiva di emancipazione sociale dei più deboli;
  3. Il sostegno all'integrazione comunitaria europea, in vista della creazione di una unione politica europea preoccupata della giustizia sociale;
  4. La difesa dell'indipendenza del potere giudiziario nei confronti sia di ogni altro potere che di interessi particolari;
  5. La ricerca e la promozione delle tecniche organizzative idonee a garantire un servizio giudiziario rispondente al principio di trasparenza e tale da permettere il controllo dei cittadini sul suo funzionamento;
  6. La democratizzazione della magistratura, nel reclutamento e nelle condizioni di esercizio della professione, sostituendo il principio democratico a quello gerarchico, specialmente nel governo del corpo giudiziario;
  7. L'affermazione del diritto dei magistrati, come di tutti i cittadini, alle libertà di riunione e azione collettiva;
  8. La promozione di una cultura giuridica democratica tra i magistrati dei diversi paesi, attraverso lo scambio di informazioni e lo studio di argomenti comuni».


MAGISTRATURA INDIPENDENTE: «Il suo impegno si fonda sulla tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, nel loro significato costituzionale: non come privilegi dell'Ordine giudiziario, bensì come valori strumentali al corretto esercizio della giurisdizione.
In tale prospettiva, M.I. afferma l'unità e l'apoliticità dell'Ordine giudiziario e persegue la tutela della dignità morale e materiale della magistratura. Opera nell'ambito dell'Associazione Nazionale Magistrati e delle organizzazioni internazionali delle magistrature.
L'effettiva imparzialità costituisce il carattere essenziale del magistrato aderente a Magistratura Indipendente, che - nell'attività giudiziaria come in quella associativa - ispira la propria azione all'esclusione di ogni forma di collateralismo politico e partitico».


MOVIMENTO PER LA GIUSTIZIA: (riporto l'intero art. 3 dello Statuto) «L'associazione si propone di svolgere e promuovere una riflessione e un impegno politico culturale sui problemi della giurisdizione, nonché di contribuire al miglioramento del "servizio Giustizia" attraverso:
a) la valorizzazione e la difesa dei principi costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario (e, quindi, dei singoli magistrati), in quanto principi irrinunciabili per garantire la vita democratica e la legalità nel Paese;
b) l'analisi delle cause reali delle disfunzioni della giustizia e l'individuazione degli strumenti idonei a porvi rimedio; a tal fine l'Associazione reputa necessaria l'apertura al confronto ed al contributo di quelle componenti della società, esterne alla magistratura, che, anche in forme ed aggregazioni nuove, avvertono la necessità di un giudice libero da condizionamenti e del tutto coerente con il modello costituzionale;
c) l'affermazione del carattere preliminare e fondamentale della "questione morale", intesa come conformità della condotta e delle scelte individuali e collettive ai principi ideali ed alle regole della deontologia professionale, come rifiuto di ogni collateralismo con centri di interesse o di potere, politici ed economici, atti a comprimere l'indipendenza ed il ruolo di garanzia della magistratura;
d) lo sviluppo delle iniziative in grado di incrementare e privilegiare la professionalità del giudice (intesa come capacità, terzietà ed indipendenza);
e) il sostegno concreto dei soci magistrati all'attività dell'Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) con il fermo impegno a contrastarne degenerazioni interne e a favorire la tutela nella loro effettività del prestigio e del rispetto della funzione giudiziaria, richiamati dall'art. 2 dello statuto dell'A.N.M..
Più in generale, comunque, l'associazione intende conformarsi ai principi ed avvalersi dei mezzi idonei alla diffusione di essi, alla sensibilizzazione della pubblica opinione ed alla realizzazione delle proprie finalità, così come specificati nel documento intitolato "UN IMPEGNO PER LA GIUSTIZIA", datato "Roma, 17 aprile 1988", che, allegato al presente Statuto, ne costituisce ad ogni effetto parte integrante».


Non si devono cercare fumosi giri di parole per delineare il profilo del magistrato (quasi) perfetto, poiché il principio a cui attenersi è contenuto nell'art. 1 del Codice etico adottato dal Comitato Direttivo Centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati:

Disinteresse personale, indipendenza e imparzialità dovrebbero essere totali, impedendo dunque anche la formazione di correnti che, inevitabilmente, in nome di un sentire comune a poche persone (quindi del tutto soggettivo), tende a istituzionalizzare la discrezionalità delle scelte fatte nel pieno esercizio dei propri poteri. Per quanto un qualsiasi uomo che, accusato di svariati reati, riesca ad accedere al più altro scranno del Parlamento italiano, sia insopportabile alla vista di coloro che sono preposti al rispetto delle leggi, è anche vero che qualsivoglia ideale politico va espresso nelle urne (per chi crede nelle elezioni), oppure in altre forme, purché si distingua il momento politico e ideologico, da quello giuridico.

Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo

Avv. Vito Mazzarelli:
La "Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo" non è stata per la verità molto presente durante i quattro anni della mia segreteria perché sono stato impegnato in altre cose, ma alcuni problemi li abbiamo studiati.
Uno di questi, che ci ha sempre angosciato, è stato quello dell’imparzialità.
Diceva un grande filosofo che la maggior parte di noi considerano un pazzo, o hanno considerato un pazzo, Nietzsche, che i grandi problemi hanno bisogno di un grande amore, di una grande passione e che sono ranocchie e mezzi uomini, diceva lui, coloro i quali non contrappongono ai grossi problemi le grandi passioni.
Il tema dell’indipendenza del giudice e della sua imparzialità, secondo me, è uno di quei temi che impongono una grossa tensione e una grande passione.
Il diritto all’imparzialità, secondo me, è un mito e proprio perché è un mito ha bisogno di un grande amore, perché i miti, per poter essere ritenuti credibili e scendere dall’Olimpo sulla Terra, è necessario che abbiano da parte degli uomini una grande passione, un grande trasporto. E’ un mito perché nessun giudice riesce a sottrarre totalmente il suo giudizio ai limiti della sua cultura, ai limiti della sua coscienza, al buio delle sue fedi, all’imperscrutabilità dei suoi desideri, all’affanno, alla gaiezza della sua personale vicenda umana, al peso della sua estrazione sociale, alla sua ideologia e probabilmente anche ai problemi che ha con la sua amante. Naturalmente c’è un minimo che le norme devono evidentemente garantire perché a prescindere dalle personali vicende umane e dalle personali convinzioni del magistrato si possa avere almeno all’esterno una parvenza di imparzialità, ed è per questo che i nostri costituenti fissarono questi paletti minimi che sono gli articoli: 101, i giudici sono soggetti solo alla legge, la Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere; 104, il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, articolo 112 della Costituzione.
Alcuni progressisti pare si siano accorti che tutte queste norme debbano essere riviste. Non so a quale progresso essi pensino, ma ritengono che il Pubblico Ministero, ad esempio, di cui si parla tanto in questi ultimi tempi, debba rientrare, si dice, si legge sui giornali, nei suoi compiti funzionali ed istituzionali. Non so se una norma possa imporre al Pubblico Ministero di non uscire dai suoi compiti istituzionali. Quello che la norma deve fissare è quale sia il compito istituzionale del giudice. Lo si può punire nel caso in cui esca dai suoi compiti istituzionali, ma più di questo credo non si possa fare.
Infatti, il nostro Paese, con il solito strabismo, invece di vedere i veri e reali problemi, va alla ricerca di soluzioni che stravolgono poi, a mio giudizio, o potrebbero stravolgere, sto cercando con molta modestia o nei limiti che posso, naturalmente di introdurre alcuni temi che probabilmente potrebbero essere sottoposti alla vostra attenzione.
Una volta ci si scagliava contro i pretori d’assalto e si diceva che i pretori d’assalto minavano la certezza del diritto. La certezza del diritto, a mio giudizio è un mito. La norma va interpretata, va interpretata secondo la coscienza del momento storico che si sta vivendo. Se un pretore d’assalto un giorno ha detto che un povero lavoratore non può essere licenziato perché così riteneva dovesse interpretarsi la norma o dovesse interpretarsi la Costituzione, non vedo quale parzialità possa ravvisarsi in un pretore che pure interpretando secondo la sua personale convinzione ideologica una norma, abbia potuto commettere quello che altri potrebbero ritenere un errore.
Quello che più preoccupa, almeno il sottoscritto, potrebbe non preoccupare altri, evidentemente. In questo momento storico è il fatto che si voglia raggiungere la certezza del diritto, si pretenda di poter raggiungere la certezza del diritto attraverso una valutazione annuale dei criteri che il Pubblico Ministero dovrebbe seguire nell’esercizio dell’azione penale.
Secondo me è molto pericoloso, una cosa del genere è anche furba, perché chi l’ha proposta sa bene che probabilmente potrebbero esserci poche obiezioni al fatto che il Parlamento, annualmente, il potere legislativo, il potere sovrano, quindi il potere che si esercita per il popolo, al fatto che il Parlamento possa effettivamente ogni anno stabilire quali sono i criteri che si dovrebbero eseguire nell’esercizio nazionale.
Secondo me è una cosa, questa, sulla quale le coscienze dei giuristi dovrebbero ribellarsi, anche perché è insita in questa proposta una pericolosità sconvolgente: il fatto che si affidi al Parlamento una valutazione di questo genere, lo strabismo.
Lo strabismo di questo Paese è proprio questo, prima si criticavano i pretori d’assalto, a mio giudizio, posso anche sbagliare, ritenevano di introdurre in alcune loro pronunce direttamente principi costituzionali, forse sbagliavano, non voglio entrare nel merito della questione, oggi si cerca invece di risolvere problemi di difetto, non dell’ordinamento, ma di difetto di funzionamento dell’ordinamento che deve rimanere, secondo me, che sono un conservatore e mi vanto di essere un conservatore di questa Costituzione. Il difetto dell’ordinamento lo vogliono risolvere cambiando, stravolgendo l’ordinamento.
Questo mio giudizio è una cosa che nel caso fosse introdotta nel nostro ordinamento sarebbe del tutto sconvolgente. Così come si criticavano quei pretori, oggi si criticano i Pubblici Ministeri. Questo consente la nostra struttura organizzativa giudiziaria. Consente, purtroppo, che se mi occupo di una denuncia, di un’azione penale, non mi posso occupare delle altre cento, e con questo stabiliamo aprioristicamente se io devo perseguire solo ed esclusivamente degli scippatori, se devo perseguire solo ed esclusivamente i ladri d’auto o se invece devo perseguire o devo indagare a fondo sulla piaga della corruzione.
Il Parlamento, voi credete che con i venti che corrono al principio dell’anno direbbe ai Pubblici Ministeri di indagare sui fenomeni corruttivi dell’alta burocrazia, invece di dire che la burocrazia è una cosa che non si deve assolutamente ammettere e che va solo stabilito se si debba punire più il corruttore o il corrotto. Semmai va stabilito solo questo, oggi si vuole introdurre il criterio di valutazione aprioristica dell’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero. Questo, credo che sia uno dei problemi di cui questa Tavola Rotonda si può occupare.
Come diceva l’avv. Maurizio de Stefano, e su questo sono d’accordo, l’Italia, sul piano formale, sul piano dell’applicazione del contenuto del diritto alla giustizia, che appunto è il diritto all’imparzialità, su questo piano l’Italia forse è un pochino più avanzata degli altri paesi.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 1 ottobre 1982 stabiliva questo principio: "L’esigenza di assicurare un tribunale imparziale non può comportare l’esclusione dal collegio giudicante di un magistrato per la sola ragione che questi abbia in precedenza fatto parte dell’ufficio che ha istruito la causa".
Una soluzione contraria, fondata su una concezione rigida e formalistica dell’unità e dell’indivisibilità dell’ufficio del Pubblico Ministero, porterebbe ad una separazione eccessiva tra magistratura requirente e magistratura giudicante, suscettibile di sconvolgere il sistema giudiziario di molti stati della Convenzione Europea. Questo stabiliva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 1982, anche se auspicava evidentemente che il Pubblico Ministero non facesse parte di collegi giudicanti troppo faciloni.

brecht - L’imparzialità dei giudici

L’imparzialità dei giudici
Un problema raramente affrontato: come si pone il giudice liberale di fronte alle classi? È neutrale? Può esserlo? Se la legge non è neutrale, il giudice può esserlo (19)?
La giustizia, dicono i liberali, «ha solo una bilancia per il ricco e per il povero, per il grande e per il piccolo». La decisione del giudice prescinde dalla considerazione delle persone e l’essenza della giustizia è l’imparzialità (20). Scrive Logan E. Bleckley: “Per quanto ne so, il tribunale è il solo luogo sulla terra dove il cattivo e il buono possono contendere fra loro su di un rigoroso piano di eguaglianza” (21). Ideologia.
Brecht non fa ideologia, invece demistifica: critica la giustizia liberalborghese che non è “vera” giustizia imparziale - critica, ma non è in grado di proporre alternative. Nessun marxista è stato, o è, in grado di proporle. Quando lo Stato sarà nelle mani dei proletari la giustizia neutrale verrà da sé. Non è venuta.

“La canzone dei tribunali […] Al seguito dei briganti vengono i tribunali. E quando gli innocenti vengono uccisi, i giudici si riuniscono attorno ai cadaveri e li condannano. Sulla tomba delle vittime vengono uccisi tutti i loro diritti. Le sentenze dei tribunali calano come ombre di mannaie e non basta. Ci vuole anche la sentenza in aggiunta?
Dove volano gli avvoltoi? Il deserto li ha respinti: i tribunali li nutriranno. Qui l’assassino trova il suo rifugio, l’aguzzino il suo santuario. Qui il ladro cela la sua refurtiva avvolta nella carta delle leggi” (22).

Il giudice borghese si pretende imparziale, ma non lo è. Le cose potrebbero andare in modo diverso, se lo volessimo.
I contadini credono nella giustizia. La invocano. Credono che una giustizia imparziale possa esserci. C’è un giudice a Berlino. Parla un personaggio brechtiano, un avvocato:

“abbiamo vissuto sempre delle beghe dei contadini, cocciuti come muli, che andrebbero a chiedere l’elemosina piuttosto che rinunciare a un loro diritto. Hanno sempre il gusto di litigare. Morirebbero dalla voglia di prendersi a coltellate [...] eppure appena capiscono che i processi costano [...] ecco che si calmano di botto, e ti lasciano in tronco la piú bella causa del mondo ...”

Occorre ricordare Franz Kafka: è un contadino balordo che si presenta davanti al palazzo perché vuol vedere «la legge» (23). Aspetterà invano. Ci dice Brecht:

”la legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla. E chi vuol cavare la sua parte da questo sfruttamento, deve attenersi strettamente alla legge.
Brown - “Dunque lei ritiene i nostri giudici corruttibili!”
Peachum - “Al contrario, signor mio, al contrario! I nostri giudici sono assolutamente incorruttibili: nessuna somma è capace di corromperli fino al punto di farli giudicare secondo diritto” (24).

E ancora:

Aula di tribunale. Parla un vecchietto - “Egli è troppo potente”. Wang - “Vuole aprire dodici nuovi negozi”. Il falegname - “Come potrà essere giusta la sentenza, se il barbiere Shu Fu e la signora Mi Tzü, amici dell’imputato, sono anche amici del giudice?” La cognata - “Ieri sera hanno visto la signora Shin portare un’oca grassa nella cucina del giudice, su mandato del signor Shui Ta. Il grasso gocciolava fuori dalla cesta”.
Entrano tre dei in toga ... (25).
Canzone dell’inerme bontà [o, se si vuole, dell’inerme giustizia]. […] gli dei non hanno mine e cannoni, corazzate, bombardieri e carri armati per atterrare i malvagi e salvare i buoni ...

Eppure, pretendono fare giustizia, giustizia imparziale, e per giunta neutrale. Di fronte ai veri, seri problemi degli sfruttati il giudice imparziale svanisce.

giustizia imparziale

Diego
stavo pensando che il nostro "giornale potrebbe un giorno non troppo lontano pubblicare un opuscolo dove vengono elencati gli indizi che ci portano a pensare che la magistratura o almeno una parte di essa sta manipolando la politica italiana sopratutto l opposizione. si poterbbe cominciare con veltroni: vi ricordate quando non voleva allearsi con di pietro? è bastato indagare e sputtanare un presidente di regione del suo partito per fargli cambiare idea. il politico in questione, difeso solamente da berlusconi, è poi stato scagionato. intanto di pietro è in parlamento... anche bersani non voleva allearsi con il molisano, ma indagini partite da bologna e poi salite fino a piacenza l hanno portato ad un abbraccio, ricordate? quanti di questi fatti? e se messi uno dopo l altro elencandone le conseguenze pensate non sarebbe interessante?
 
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