I «conti paralleli» di Lusi «Ecco come riuscì a eludere i controlli» - Corriere.it: I «conti paralleli» di Lusi
«Ecco come riuscì a eludere i controlli»
Lite tra gli ex Margherita sul sì «unanime» ai bilanci
I pm indagano su Lusi, ma vogliono capire perché nessuno si accorse di quelle ruberie
I «conti paralleli» di Lusi
«Ecco come riuscì a eludere i controlli»
Lite tra gli ex Margherita sul sì «unanime» ai bilanci
Luigi Lusi (Ansa)Luigi Lusi (Ansa)
ROMA - Per cercare di sfuggire ai controlli, il senatore Luigi Lusi avrebbe creato una contabilità parallela. Un doppio bilancio che adesso potrebbe far scattare nei suoi confronti l'accusa di falso, oltre a quella già contestata di appropriazione indebita. Anche perché le fatture emesse non sarebbero state registrate con la giusta corrispondenza, ma «archiviate» come prestazioni diverse da quelle reali. E quindi senza menzionare quelle finte consulenze da milioni di euro che il tesoriere della Margherita, poi transitato nel Partito democratico, aveva affidato alla sua società «TTT» riuscendo così ad accumulare tredici milioni in tre anni.
Le verifiche estere
Una relazione che ricostruisce queste movimentazioni è stata preparata dai consulenti della Margherita e potrebbe essere consegnata ai magistrati, come anticipa l'avvocato Titta Madia che cura gli interessi dei vertici dell'ex partito, il presidente Francesco Rutelli e il presidente dell'Assemblea Enzo Bianco. Il resto dovranno farlo gli accertamenti della Guardia di Finanza, delegata ad acquisire l'intera documentazione contabile negli uffici di «Democrazia e libertà». L'obiettivo dei pubblici ministeri rimane quello di accertare se ci siano altri reati commessi da Lusi, ma anche stabilire come mai nessuno si sia accorto di queste ruberie. E soprattutto se anche altri politici possano aver goduto dei favori del tesoriere.
È vero che, secondo i primi controlli, la Margherita era l'unico cliente della «TTT», ma a questo punto bisognerà verificare se Lusi abbia utilizzato altre società per la gestione dei fondi e per la loro esportazione all'estero. Oltre alla «Luigia Ltd», di dominio canadese, fra i beneficiari dei suoi bonifici risulta infatti anche uno studio di architettura di Toronto riconducibile alla famiglia della moglie, che potrebbe essere stato usato come veicolo per l'occultamento dei beni.
I bonifici multipli
Il mistero più grande continua comunque a riguardare il ruolo dei Revisori e quello della commissione di Tesoreria che mai hanno notato «uscite» irregolari e hanno stilato relazioni favorevoli all'approvazione, nonostante molti esponenti avessero avanzato dubbi sulla gestione finanziaria di Lusi e il conto corrente fosse passato in meno di tre anni da un saldo di 20 milioni a poco meno di 7. Eppure si trattava - per la maggior parte - di denaro proveniente dai rimborsi elettorali, con alcuni fondi transitati dal Pd. Nonostante questo i rendiconti 2009 e 2010 sono stati convalidati, così come il preventivo relativo al 2011. Le prime verifiche avrebbero consentito di scoprire che Lusi aveva di fatto creato un doppio binario contabile. Per fare un esempio: un'uscita da decine di migliaia di euro verso la sua società sarebbe stata registrata come «spese manifesti» e dunque in maniera da non destare sospetto.
Il tesoriere avrebbe trovato un escamotage anche per occultare quei 90 bonifici - tutti disposti senza superare la soglia di tracciabilità - che gli hanno consentito il trasferimento di fondi dal partito alle proprie disponibilità. Nella «causale» avrebbe infatti inserito la voce «bonifico multiplo» senza ulteriori indicazioni. Lusi era certamente molto esperto nella gestione finanziaria e probabilmente - come sta dimostrando l'inchiesta - molto «creativo». Ma questo non basta al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al sostituto Stefano Pesci per escludere che in questa vicenda possano esserci altri responsabili. Anche perché con il trascorrere dei giorni diventa sempre più fitto il mistero sull'approvazione dei rendiconti.
Il voto compatto
È Arturo Parisi - che si era dimesso dall'Assemblea proprio «per mancanza di chiarezza sulla gestione finanziaria» - a manifestare prima pubblicamente, e poi davanti ai magistrati, i propri dubbi sulla regolarità delle procedure per l'approvazione dei rendiconti. «All'ultima assemblea del 20 giugno scorso - ha spiegato durante il suo interrogatorio - c'è stato il voto contrario di Luciano Neri, eppure il via libera è stato certificato all'unanimità». Ieri arriva il comunicato di smentita di Enzo Bianco che dichiara: «Durante l'assemblea nessuno sollevò dubbi di opacità del bilancio, né i revisori dei conti, né i componenti l'Assemblea. Poiché alcuni lamentarono di non avere potuto visionare tempestivamente la bozza predisposta, la seduta fu sospesa per consentire l'esame richiesto. Il bilancio fu poi, in serata, approvato, vistato dei prescritti pareri, all'unanimità dei presenti. Al momento del voto Neri era assente».
Una versione che il diretto interessato smentisce, e a questo punto è probabile che debbano essere i magistrati a scoprire chi stia mentendo. Afferma infatti Neri con una nota ufficiale: «Nel corso dell'Assemblea ci furono due soli interventi critici, il mio e quello molto netto e completo di Arturo Parisi. Ci fu un solo voto contrario, il mio, mentre Parisi non partecipò al voto. Noi ritenevamo che quelle risorse non ci appartenevano e dunque dovevano essere restituite alla società civile, gli altri erano convinti dovesse esserci una spartizione tra le diverse correnti del residuo attivo, magari utilizzando Fondazioni o Centri studi di riferimento. Ricordo che sulla discussione tra queste due concezioni Gentiloni, opportunamente, affermò che non poteva essere attivato un meccanismo da "spartizione del malloppo". Oggi si comprende meglio il perché della feroce opposizione alle nostre proposte: quelle risorse erano già state "impegnate"».
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