Valsusa, militante caduto da traliccio: è in coma. Iniziative di solidarietà in tutta Italia | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano: Giovanni Moderatore 5 minuti fa in risposta a sting-2012
Stai messo male, gli unici argomenti che hai sono inesistenti!
L'intelligenza dialettica sta proprio nel riuscire a far capire agli altri argomenti complessi, non nel proporre il vuoto di argomentazione nascondendo la propria incapacità discorsiva nell'offesa alla controparte.
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lunedì 27 febbraio 2012
domenica 26 febbraio 2012
Pansa Caselli viene contestato e si lamenta Gli spiego che significa affrontare i violenti - giampaolo pansa, sinistra, comunisti, giancarlo caselli, aldo cazzullo, bestiario, libero - liberoquotidiano.it
Pansa Caselli viene contestato e si lamenta Gli spiego che significa affrontare i violenti - giampaolo pansa, sinistra, comunisti, giancarlo caselli, aldo cazzullo, bestiario, libero - liberoquotidiano.it: Libero pensiero
Pansa Caselli viene contestato e si lamenta Gli spiego che significa affrontare i violenti
Gli estremisti contro il magistrato, così come accade a decine di autori come il sottoscritto. Ecco perché lui rischia di diventare ridicolo
Pansa Caselli viene contestato e si lamenta Gli spiego che significa affrontare i violenti
liberoquotidiano.it
Diventare un uomo ridicolo. Dopo aver tanto lottato contro terroristi e mafiosi, è questo il rischio che corre Giancarlo Caselli, super magistrato e capo della Procura di Torino. Lo corre per un motivo sciocco: considerarsi l’unica vittima di estremisti violenti che contestano i suoi libri e il suo lavoro. Caselli dimentica di essere soltanto l’ultimo dei tanti costretti a fare la stessa esperienza. E adesso gli racconterò il mio caso. Nel 2003 pubblico Il sangue dei vinti, libro che racconta le vendette dei partigiani dopo il 25 aprile, contro i fascisti sconfitti. Nasce un trambusto pazzesco sui giornali e alla tivù. Vecchi amici di sinistra mi accusano di averlo scritto per soldi e su ordine di Silvio Berlusconi, in quel momento al governo. Ma la piazza, o la piazzetta, non si muove. Deve assalire il Caimano e non ha tempo da perdere con un microbo come me. Continuo a scrivere libri revisionisti sulla guerra civile e nell’ottobre 2006 esce La grande bugia. La stagione politica è cambiata. Adesso al governo c’è il secondo centrosinistra di Romano Prodi. Il Cavaliere è sconfitto e può essere lasciato in pace. L’attenzione si sposta sul microbo Pansa. Un testardo che si merita una bella lezione. Il 16 ottobre 2006 si tiene a Reggio Emilia il primo di una serie di dibattiti su quel libro. Il salone di un hotel della città è strapieno. A dialogare con me c’è Aldo Cazzullo, giornalista, inviato speciale del Corriere della sera. Sto per rispondere alla sua domanda iniziale quando nella sala, tra la gente, emerge una dozzina di violenti. Vogliono interrompere la serata e punirmi.
Il capo del gruppo corre verso il nostro tavolo e mi scaglia addosso una copia della Grande bugia, urlando: «È un libro infame, sono venuto da Roma apposta per gettarglielo in faccia!». Segue un lancio di volantini stampati con cura. Riproducono una banconota da 50 euro con la scritta: «Pansa prezzolato - con l’infamia ci hai speculato». Arrivato alla nostra pedana, il gruppo srotola un lenzuolo color sangue, con lo slogan «Triangolo rosso? Nessun rimorso». Come a dire, i partigiani comunisti hanno fatto bene ad accoppare tanti nemici della rivoluzione. I violenti sono molto agitati. Urlano da forsennati. Mostrano al pubblico il pugno chiuso. Uno di loro strilla di continuo, a macchinetta: «Viva Schio! Viva Schio!». È la città veneta dove nel luglio 1945 la polizia partigiana rossa ha occupato il carcere e ammazzato cinquantatré persone.
Aldo Cazzullo e io restiamo al nostro posto e mandiamo al diavolo il capo del gruppo che pretende di leggere un volantino interminabile. A quel punto, la gente in sala comincia a scandire «Libertà, libertà!». I violenti si rendono conto di essere in minoranza e due poliziotti li allontanano. Si saprà dopo che appartengono a una fazione di ultrà rossi, «Antifascist Militant». Sono tipi senza faccia, sconosciuti. Tranne uno che si rivela tre mesi dopo in un convegno antifascista a Roma, organizzato da Rifondazione comunista. È Simone Sallusti, responsabile organizzativo del partito nella capitale. Rivolto ai compagni, si presenta e dice: «Sono andato a Reggio Emilia per contestare Pansa. E ne sono orgoglioso!». Applausi e pugni chiusi. Adesso siamo al 17 ottobre. La faccenda di Reggio sta su molti quotidiani e nei telegiornali. Nel pomeriggio ricevo qualche telefonata di solidarietà. Ma soltanto di politici moderati, ricordo Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Tuttavia, verso sera arriva il messaggio più importante. Giorgio Napolitano, da pochi mesi presidente della Repubblica, con un comunicato del Quirinale, esprime «la sua profonda deplorazione per gli atti di violenza» a Reggio Emilia.
Soltanto dopo il suo intervento, spuntano un paio di telefonate da sinistra, di Prodi e di Piero Fassino. Chiamate personali e riservate, niente di pubblico perché a sinistra il Pansa è considerato un diffamatore della Resistenza. Per ultima si fa viva una redattrice della Stampa, Egle Santolini. Su incarico della direzione, mi avvisa che l’indomani troverò sul loro giornale due articoli che mi riguardano. Mi consiglia: «Li legga con calma». Li leggo il 18 ottobre. Alla Stampa, dove ho lavorato per anni, devo avere qualche amico del giaguaro. Entrambi i pezzi sono contro di me, con una rabbia speciale. Un articolo del professor Angelo d’Orsi e un’intervista, manco a dirlo, di Giorgio Bocca. Il professore ricicla un suo vecchio articolo, con l’aggiunta di un falso. Lui descrive l’aggressione di Reggio Emilia così: «Insulti e baruffe tra giovani di sinistra che contestavano Pansa e giovani di destra che ne prendevano le parti».
Sempre il 18 ottobre, mi telefona uno dei vicedirettori della Stampa, Massimo Gramellini, la cosiddetta penna brillante del giornale. Un pennacchione giulivo che si ritiene di sinistra. Con ilare cautela, mi chiede se voglio rispondere, ma lo mando a quel paese. Subito dopo mi chiama il direttore, Giulio Anselmi. Ci conosciamo da anni. E abbiamo lavorato insieme all’Espresso. Anselmi deve essersi reso conto di aver pubblicato una carognata. Si lava subito le mani e mi indica come bersaglio il suo vice: «Guarda che quella pagina l’ha messa insieme Gramellini. Ha fatto tutto lui ed è lui che devi ringraziare, non è colpa mia». Gli ribatto: «Ma il direttore non sei tu?». Anselmi: «Io non potevo farci nulla». Penso: misteri del giornalismo italiano, con troppi direttori senza autorità.
L’assalto di Reggio fa scuola. Il 19 ottobre devo presentare il libro a Bassano del Grappa. Ma nella notte, gli ultrà rossi hanno sabotato le serrature dei tre ingressi della libreria. Ci vuole un lavoro di tre ore per sbloccarle. Riesco a fare il dibattito, mentre in strada urlano dei giovanotti che pretendono di entrare e leggere un documento contro di me. Dopo Bassano, parlo in altre due città venete, Castelfranco e Carmignano di Brenta. E mi rendo conto di avere addosso l’Anpi, il club dei partigiani rossi, e le solite bande di ultrà. Ma ormai sono protetto dalla polizia e dai carabinieri. Il capo della Digos di Padova mi spiega che dovunque troverò le medesime ostilità. Aggiunge: «Li conosciamo, lei deve stare tranquillo perché sarà sempre tutelato dalle forze dell’ordine».
Presentare un libro scortato da agenti e carabinieri? La faccenda non mi piace per niente. Mi amareggia e mi obbliga a domandarmi perché mai debba sottrarre a compiti ben più importanti tanti ragazzi in divisa. È in quel momento che decido di annullare quattordici dibattiti dei trenta già previsti. Lo faccio pensando: «Credevo di essere un cittadino libero in un paese libero, ma devo arrendermi: non è per niente così».
Da allora sono trascorsi cinque anni e non ho più presentato in pubblico i miei libri. Mi sono reso conto che questa rinuncia non ha influenza sulla diffusione, però mi sento dimezzato. Lo stesso accade a tanti autori di destra. E oggi anche a eccellenze di sinistra, come Giancarlo Caselli. La ruota è girata, ma il risultato è sempre un brutto affare. Signor procuratore capo di Torino, ci rifletta. Smetta di fare la vittima. Gioverà a lei e a tutti noi.
di Giampaolo Pansa
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Pansa Caselli viene contestato e si lamenta Gli spiego che significa affrontare i violenti
Gli estremisti contro il magistrato, così come accade a decine di autori come il sottoscritto. Ecco perché lui rischia di diventare ridicolo
Pansa Caselli viene contestato e si lamenta Gli spiego che significa affrontare i violenti
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Diventare un uomo ridicolo. Dopo aver tanto lottato contro terroristi e mafiosi, è questo il rischio che corre Giancarlo Caselli, super magistrato e capo della Procura di Torino. Lo corre per un motivo sciocco: considerarsi l’unica vittima di estremisti violenti che contestano i suoi libri e il suo lavoro. Caselli dimentica di essere soltanto l’ultimo dei tanti costretti a fare la stessa esperienza. E adesso gli racconterò il mio caso. Nel 2003 pubblico Il sangue dei vinti, libro che racconta le vendette dei partigiani dopo il 25 aprile, contro i fascisti sconfitti. Nasce un trambusto pazzesco sui giornali e alla tivù. Vecchi amici di sinistra mi accusano di averlo scritto per soldi e su ordine di Silvio Berlusconi, in quel momento al governo. Ma la piazza, o la piazzetta, non si muove. Deve assalire il Caimano e non ha tempo da perdere con un microbo come me. Continuo a scrivere libri revisionisti sulla guerra civile e nell’ottobre 2006 esce La grande bugia. La stagione politica è cambiata. Adesso al governo c’è il secondo centrosinistra di Romano Prodi. Il Cavaliere è sconfitto e può essere lasciato in pace. L’attenzione si sposta sul microbo Pansa. Un testardo che si merita una bella lezione. Il 16 ottobre 2006 si tiene a Reggio Emilia il primo di una serie di dibattiti su quel libro. Il salone di un hotel della città è strapieno. A dialogare con me c’è Aldo Cazzullo, giornalista, inviato speciale del Corriere della sera. Sto per rispondere alla sua domanda iniziale quando nella sala, tra la gente, emerge una dozzina di violenti. Vogliono interrompere la serata e punirmi.
Il capo del gruppo corre verso il nostro tavolo e mi scaglia addosso una copia della Grande bugia, urlando: «È un libro infame, sono venuto da Roma apposta per gettarglielo in faccia!». Segue un lancio di volantini stampati con cura. Riproducono una banconota da 50 euro con la scritta: «Pansa prezzolato - con l’infamia ci hai speculato». Arrivato alla nostra pedana, il gruppo srotola un lenzuolo color sangue, con lo slogan «Triangolo rosso? Nessun rimorso». Come a dire, i partigiani comunisti hanno fatto bene ad accoppare tanti nemici della rivoluzione. I violenti sono molto agitati. Urlano da forsennati. Mostrano al pubblico il pugno chiuso. Uno di loro strilla di continuo, a macchinetta: «Viva Schio! Viva Schio!». È la città veneta dove nel luglio 1945 la polizia partigiana rossa ha occupato il carcere e ammazzato cinquantatré persone.
Aldo Cazzullo e io restiamo al nostro posto e mandiamo al diavolo il capo del gruppo che pretende di leggere un volantino interminabile. A quel punto, la gente in sala comincia a scandire «Libertà, libertà!». I violenti si rendono conto di essere in minoranza e due poliziotti li allontanano. Si saprà dopo che appartengono a una fazione di ultrà rossi, «Antifascist Militant». Sono tipi senza faccia, sconosciuti. Tranne uno che si rivela tre mesi dopo in un convegno antifascista a Roma, organizzato da Rifondazione comunista. È Simone Sallusti, responsabile organizzativo del partito nella capitale. Rivolto ai compagni, si presenta e dice: «Sono andato a Reggio Emilia per contestare Pansa. E ne sono orgoglioso!». Applausi e pugni chiusi. Adesso siamo al 17 ottobre. La faccenda di Reggio sta su molti quotidiani e nei telegiornali. Nel pomeriggio ricevo qualche telefonata di solidarietà. Ma soltanto di politici moderati, ricordo Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Tuttavia, verso sera arriva il messaggio più importante. Giorgio Napolitano, da pochi mesi presidente della Repubblica, con un comunicato del Quirinale, esprime «la sua profonda deplorazione per gli atti di violenza» a Reggio Emilia.
Soltanto dopo il suo intervento, spuntano un paio di telefonate da sinistra, di Prodi e di Piero Fassino. Chiamate personali e riservate, niente di pubblico perché a sinistra il Pansa è considerato un diffamatore della Resistenza. Per ultima si fa viva una redattrice della Stampa, Egle Santolini. Su incarico della direzione, mi avvisa che l’indomani troverò sul loro giornale due articoli che mi riguardano. Mi consiglia: «Li legga con calma». Li leggo il 18 ottobre. Alla Stampa, dove ho lavorato per anni, devo avere qualche amico del giaguaro. Entrambi i pezzi sono contro di me, con una rabbia speciale. Un articolo del professor Angelo d’Orsi e un’intervista, manco a dirlo, di Giorgio Bocca. Il professore ricicla un suo vecchio articolo, con l’aggiunta di un falso. Lui descrive l’aggressione di Reggio Emilia così: «Insulti e baruffe tra giovani di sinistra che contestavano Pansa e giovani di destra che ne prendevano le parti».
Sempre il 18 ottobre, mi telefona uno dei vicedirettori della Stampa, Massimo Gramellini, la cosiddetta penna brillante del giornale. Un pennacchione giulivo che si ritiene di sinistra. Con ilare cautela, mi chiede se voglio rispondere, ma lo mando a quel paese. Subito dopo mi chiama il direttore, Giulio Anselmi. Ci conosciamo da anni. E abbiamo lavorato insieme all’Espresso. Anselmi deve essersi reso conto di aver pubblicato una carognata. Si lava subito le mani e mi indica come bersaglio il suo vice: «Guarda che quella pagina l’ha messa insieme Gramellini. Ha fatto tutto lui ed è lui che devi ringraziare, non è colpa mia». Gli ribatto: «Ma il direttore non sei tu?». Anselmi: «Io non potevo farci nulla». Penso: misteri del giornalismo italiano, con troppi direttori senza autorità.
L’assalto di Reggio fa scuola. Il 19 ottobre devo presentare il libro a Bassano del Grappa. Ma nella notte, gli ultrà rossi hanno sabotato le serrature dei tre ingressi della libreria. Ci vuole un lavoro di tre ore per sbloccarle. Riesco a fare il dibattito, mentre in strada urlano dei giovanotti che pretendono di entrare e leggere un documento contro di me. Dopo Bassano, parlo in altre due città venete, Castelfranco e Carmignano di Brenta. E mi rendo conto di avere addosso l’Anpi, il club dei partigiani rossi, e le solite bande di ultrà. Ma ormai sono protetto dalla polizia e dai carabinieri. Il capo della Digos di Padova mi spiega che dovunque troverò le medesime ostilità. Aggiunge: «Li conosciamo, lei deve stare tranquillo perché sarà sempre tutelato dalle forze dell’ordine».
Presentare un libro scortato da agenti e carabinieri? La faccenda non mi piace per niente. Mi amareggia e mi obbliga a domandarmi perché mai debba sottrarre a compiti ben più importanti tanti ragazzi in divisa. È in quel momento che decido di annullare quattordici dibattiti dei trenta già previsti. Lo faccio pensando: «Credevo di essere un cittadino libero in un paese libero, ma devo arrendermi: non è per niente così».
Da allora sono trascorsi cinque anni e non ho più presentato in pubblico i miei libri. Mi sono reso conto che questa rinuncia non ha influenza sulla diffusione, però mi sento dimezzato. Lo stesso accade a tanti autori di destra. E oggi anche a eccellenze di sinistra, come Giancarlo Caselli. La ruota è girata, ma il risultato è sempre un brutto affare. Signor procuratore capo di Torino, ci rifletta. Smetta di fare la vittima. Gioverà a lei e a tutti noi.
di Giampaolo Pansa
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domenica 5 febbraio 2012
Riflessioni attorno alla nevicata | Giulietto Chiesa | Il Fatto Quotidiano
Riflessioni attorno alla nevicata | Giulietto Chiesa | Il Fatto Quotidiano:
Marco Demmini Moderatore 34 minuti fa in risposta a Aililrem
Caro amico, ma bisogna proprio spiegarti tutto!
Dove risiede adesso Monti? A Roma o in Calabria? Nella capitale o nella Basilicata?
Come tu ben sai, Monti è stato messo al potere da Bilderberg (alla quale appartiene anche Emma Bonino, una delle più malvage e spietate dispensatrici di terrore e morte, una che al suo confronto Crudelia Demon sembra Mary Poppins) al fine di distruggere l'Italia e tutta l'area mediterranea.
Ecco, lo spread stava scendendo troppo. Monti stava sgarrando gli ordini precisi di Goldamn Sachs, Trilaterale, CIA, Mossad, e probabilmente anche l'Arcigay.
Per questo è stato punito dalla grande finanza che controlla le nevicate garzie alle scie chimiche.
Mi sembra chiaro, semplice, inoppugnabile.
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Marco Demmini Moderatore 34 minuti fa in risposta a Aililrem
Caro amico, ma bisogna proprio spiegarti tutto!
Dove risiede adesso Monti? A Roma o in Calabria? Nella capitale o nella Basilicata?
Come tu ben sai, Monti è stato messo al potere da Bilderberg (alla quale appartiene anche Emma Bonino, una delle più malvage e spietate dispensatrici di terrore e morte, una che al suo confronto Crudelia Demon sembra Mary Poppins) al fine di distruggere l'Italia e tutta l'area mediterranea.
Ecco, lo spread stava scendendo troppo. Monti stava sgarrando gli ordini precisi di Goldamn Sachs, Trilaterale, CIA, Mossad, e probabilmente anche l'Arcigay.
Per questo è stato punito dalla grande finanza che controlla le nevicate garzie alle scie chimiche.
Mi sembra chiaro, semplice, inoppugnabile.
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Alcuni numeri sulla tragedia greca - AgoraVox Italia
Alcuni numeri sulla tragedia greca - AgoraVox Italia: La Grecia rimane il Paese con la più alta evasione fiscale al mondo. Basti ricordare il caso tragicomico delle piscine in Atene: 324 secondo il fisco, 16974 secondo una ricerca del settimanale der Spiegel. Alcuni numeri: la Grecia produce il 2,7% del PIL europeo e lo 0,3% di quello mondiale. Prima della crisi, il Paese era al 40esimo posto per reddito pro capite. Solo ottantacinque persone dichiaravano un reddito superiore a 500.000 euro e solo sei ne dichiaravano uno superiore al milione. Dati non verosimili, che fanno a pugni con quelli (autentici) di un Paese sacrificato sull'altare dell'eurocrazia.
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I greci non cedono al ricatto della Merkel che ha detto che sono fannulloni.... Vogliono il referendum per? - Yahoo! Answers
I greci non cedono al ricatto della Merkel che ha detto che sono fannulloni.... Vogliono il referendum per? - Yahoo! Answers: Bè..non è che hanno tutta questa gran fama di lavoratori...
fino all altro giorno la popolazione ha avuto grossi aiuti da parte dello stato (per es. -correggetemi se sbaglio- so che TUTTI gli studenti avevano libri gratis dalle elementari fino all università e in più una volta usciti se non trovavano lavoro percepivano da subito l assegno di disoccupazione).
Oltre a queste agevolazioni in molti ci hanno mangiato sopra (in primis i politici ovviamente)...
non mi stupisco se ora sono con le gambe all aria.. lì c è bisogno di grosse riforme..
e forse uscire dall euro potrebbe essere l inizio di una soluzione..
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fino all altro giorno la popolazione ha avuto grossi aiuti da parte dello stato (per es. -correggetemi se sbaglio- so che TUTTI gli studenti avevano libri gratis dalle elementari fino all università e in più una volta usciti se non trovavano lavoro percepivano da subito l assegno di disoccupazione).
Oltre a queste agevolazioni in molti ci hanno mangiato sopra (in primis i politici ovviamente)...
non mi stupisco se ora sono con le gambe all aria.. lì c è bisogno di grosse riforme..
e forse uscire dall euro potrebbe essere l inizio di una soluzione..
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The Mote in God's Eye: I Greci peggio dei nostri fannulloni?
The Mote in God's Eye: I Greci peggio dei nostri fannulloni?: I Greci peggio dei nostri fannulloni?
Ecco Altri dettagli sugli sperperi greci (HT La pulce di Voltaire). Paolo si stupisce, ma buona parte di questi comportamenti sono simili a quelli italiani dei bei tempi consociativi andati.
•Gli stipendi dei dipendenti pubblici rappresentano il 40% del pil. Questo sarà il primo settore in cui tagliare drasticamente. in alcuni settori, oltre alla tredicesima e quattordicesima, ci sono bonus e premi ridicoli. uno fra tutti: il bonus per chi arriva puntuale al lavoro;
•alcuni extra hanno poi dell'assurdo. i forestali per esempio ricevono un'indennità per lavoro all'aria aperta. ma forse la più clamorosa è la questione delle "zitelle d'oro": le figlie nubili dei dipendenti pubblici hanno diritto a una pensione ereditaria di mille euro al mese. sono 40mila e costano allo stato 550 milioni l'anno;
•per non parlare poi delle pensioni anticipate, fissate a 50 anni per le donne e 55 per gli uomini. Sono previste per 600 categorie ritenute usuranti, tra cui spiccano i parrucchieri, per i danni derivati dalle tinte, i musicisti che suonano uno strumento a fiato, i presentatori televisivi, per gli effetti nocivi dei microfoni sulla salute;
•gli enti inutili non si contano. il più clamoroso è quello per la salvaguardia del lago Kopais, un lago che si è prosciugato nel 1930. (da
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Ecco Altri dettagli sugli sperperi greci (HT La pulce di Voltaire). Paolo si stupisce, ma buona parte di questi comportamenti sono simili a quelli italiani dei bei tempi consociativi andati.
•Gli stipendi dei dipendenti pubblici rappresentano il 40% del pil. Questo sarà il primo settore in cui tagliare drasticamente. in alcuni settori, oltre alla tredicesima e quattordicesima, ci sono bonus e premi ridicoli. uno fra tutti: il bonus per chi arriva puntuale al lavoro;
•alcuni extra hanno poi dell'assurdo. i forestali per esempio ricevono un'indennità per lavoro all'aria aperta. ma forse la più clamorosa è la questione delle "zitelle d'oro": le figlie nubili dei dipendenti pubblici hanno diritto a una pensione ereditaria di mille euro al mese. sono 40mila e costano allo stato 550 milioni l'anno;
•per non parlare poi delle pensioni anticipate, fissate a 50 anni per le donne e 55 per gli uomini. Sono previste per 600 categorie ritenute usuranti, tra cui spiccano i parrucchieri, per i danni derivati dalle tinte, i musicisti che suonano uno strumento a fiato, i presentatori televisivi, per gli effetti nocivi dei microfoni sulla salute;
•gli enti inutili non si contano. il più clamoroso è quello per la salvaguardia del lago Kopais, un lago che si è prosciugato nel 1930. (da
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L’autostrada rossa e la falsa superiorità del Partito democratico - Interni - ilGiornale.it
L’autostrada rossa e la falsa superiorità del Partito democratico - Interni - ilGiornale.it: L’autostrada rossa e la falsa superiorità del Partito democratico
Tangentopoli in Veneto: l’arresto del manager Brentan ennesimo colpo al partito dei moralisti
di Stefano Zecchi - 05 febbraio 2012, 10:10
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Alla superiorità morale della sinistra ci credono ormai soltanto gli intellettuali alla moda, docenti universitari politicamente corretti, conduttori televisivi dallo share terremotato.
Ingrandisci immagine
Tutti quelli, insomma, e non sono pochi, che devono avere un nemico politico da abbattere per risolvere i propri problemi di identità: prima i fascisti, intesi come categoria generica della bassezza umana, poi i berlusconiani, eredi di quella categoria generica. Ad avere qualche difficoltà ad ammettere la superiorità morale della sinistra sono però i politici di riferimento di quegli integerrimi intellettuali, professori, conduttori.
Chissà, forse il segretario del Pd non è fortunato, perché da qualche tempo i suoi uomini, da Penati a Tedesco, da Lusi a Brentan, hanno problemi coi soldi, nel senso che si sono messi in tasca quattrini di altri. Insomma, secondo l’accusa, corrotti e corruttori, per cui la difesa della superiorità morale della sinistra sembra sia meglio affidarla agli «utili idioti», come diceva Stalin.
Ma chi è Brentan? L’uomo è stato arrestato dalla Guardia di finanza di Venezia e ora sta facendo tremare i palazzi della politica veneziana di sinistra. Lino Brentan, amministratore delegato dell’Autostrada Venezia-Padova e consigliere di amministrazione di altre società tra cui Veneto Strade, è stato accusato di aver affidato opere pubbliche a trattativa privata sempre agli stessi imprenditori amici in cambio di denaro e di aver illegittimamente frazionato l’importo dei vari appalti in modo da evitare di bandire una gara pubblica «violando i principi di imparzialità e buona amministrazione».
Al posto di amministratore delegato della Venezia-Padova, Brentan è stato messo dal Pd veneziano, e su quella sedia è stato imbullonato per la bellezza di quindici anni. A sentire i responsabili del Pd, sembra ascoltare i genitori del figlio che ha commesso un grave reato: «Non può essere stato lui; lo conosco bene». Stupore, sbigottimento di chi nella direzione del Pd lo conosceva bene, pensando che il Brentan, considerato un «tecnico che sa le ragioni della politica», fosse disposto a mettere in secondo piano le questioni della buona amministrazione per non tradire le esigenze della politica, ma non di far valere i propri interessi personali trascurando quelli della politica.
Nel Pdl Brentan ha avuto, però, un grande accusatore (rimasto inascoltato e poi querelato), nel consigliere comunale Renato Boraso, ora esponente di spicco della lista civica «Impegno per Venezia». D’altra parte, chi nel centrodestra berlusconiano, che ha il marchio dell’immoralità, avrebbe potuto criticare la superiorità morale di un uomo come il Brentan con un pedigree tutto comunista da far invidia ai giovanotti dirigenti del Pd veneziano che, purtroppo per loro, non hanno fatto in tempo a iscriversi al Pci?
Il bravo comunista amministratore delegato, da 350mila euro di stipendio annuo, è stato un ex operaio delle Leghe Leggere, ha fatto carriera all’ombra della Cgil, assessore nel suo paese, quel Campolongo Maggiore noto per aver dato i natali al boss Felice Maniero (quello della banda del Brenta), assessore ai lavori pubblici della Provincia di Venezia. I suoi amici che, appunto, lo conoscono bene e si stupiscono, dicono di lui che è svelto e furbo: è riuscito a diventare Cavaliere al merito della Repubblica, onorificenza consegnatagli da Giorgio Napolitano per i progetti importanti eseguiti sulle strade del veneto.
Dopo che la giunta di sinistra che ha guidato la Provincia di Venezia è stata sconfitta nelle ultime elezioni da Pdl e Lega, il Brentan si era trovato in difficoltà a far girare i propri affari.
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Ai suoi amici preoccupati di non riuscire ad avere più i facili appalti che avevano quando la giunta della Provincia era di sinistra, Brentan avrebbe detto che i nuovi amministratori «sono crudini, ma possiamo farcela». Non ce l’ha fatta: la superiorità morale della sinistra non ha trionfato sugli immorali di centrodestra.
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Tangentopoli in Veneto: l’arresto del manager Brentan ennesimo colpo al partito dei moralisti
di Stefano Zecchi - 05 febbraio 2012, 10:10
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Alla superiorità morale della sinistra ci credono ormai soltanto gli intellettuali alla moda, docenti universitari politicamente corretti, conduttori televisivi dallo share terremotato.
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Tutti quelli, insomma, e non sono pochi, che devono avere un nemico politico da abbattere per risolvere i propri problemi di identità: prima i fascisti, intesi come categoria generica della bassezza umana, poi i berlusconiani, eredi di quella categoria generica. Ad avere qualche difficoltà ad ammettere la superiorità morale della sinistra sono però i politici di riferimento di quegli integerrimi intellettuali, professori, conduttori.
Chissà, forse il segretario del Pd non è fortunato, perché da qualche tempo i suoi uomini, da Penati a Tedesco, da Lusi a Brentan, hanno problemi coi soldi, nel senso che si sono messi in tasca quattrini di altri. Insomma, secondo l’accusa, corrotti e corruttori, per cui la difesa della superiorità morale della sinistra sembra sia meglio affidarla agli «utili idioti», come diceva Stalin.
Ma chi è Brentan? L’uomo è stato arrestato dalla Guardia di finanza di Venezia e ora sta facendo tremare i palazzi della politica veneziana di sinistra. Lino Brentan, amministratore delegato dell’Autostrada Venezia-Padova e consigliere di amministrazione di altre società tra cui Veneto Strade, è stato accusato di aver affidato opere pubbliche a trattativa privata sempre agli stessi imprenditori amici in cambio di denaro e di aver illegittimamente frazionato l’importo dei vari appalti in modo da evitare di bandire una gara pubblica «violando i principi di imparzialità e buona amministrazione».
Al posto di amministratore delegato della Venezia-Padova, Brentan è stato messo dal Pd veneziano, e su quella sedia è stato imbullonato per la bellezza di quindici anni. A sentire i responsabili del Pd, sembra ascoltare i genitori del figlio che ha commesso un grave reato: «Non può essere stato lui; lo conosco bene». Stupore, sbigottimento di chi nella direzione del Pd lo conosceva bene, pensando che il Brentan, considerato un «tecnico che sa le ragioni della politica», fosse disposto a mettere in secondo piano le questioni della buona amministrazione per non tradire le esigenze della politica, ma non di far valere i propri interessi personali trascurando quelli della politica.
Nel Pdl Brentan ha avuto, però, un grande accusatore (rimasto inascoltato e poi querelato), nel consigliere comunale Renato Boraso, ora esponente di spicco della lista civica «Impegno per Venezia». D’altra parte, chi nel centrodestra berlusconiano, che ha il marchio dell’immoralità, avrebbe potuto criticare la superiorità morale di un uomo come il Brentan con un pedigree tutto comunista da far invidia ai giovanotti dirigenti del Pd veneziano che, purtroppo per loro, non hanno fatto in tempo a iscriversi al Pci?
Il bravo comunista amministratore delegato, da 350mila euro di stipendio annuo, è stato un ex operaio delle Leghe Leggere, ha fatto carriera all’ombra della Cgil, assessore nel suo paese, quel Campolongo Maggiore noto per aver dato i natali al boss Felice Maniero (quello della banda del Brenta), assessore ai lavori pubblici della Provincia di Venezia. I suoi amici che, appunto, lo conoscono bene e si stupiscono, dicono di lui che è svelto e furbo: è riuscito a diventare Cavaliere al merito della Repubblica, onorificenza consegnatagli da Giorgio Napolitano per i progetti importanti eseguiti sulle strade del veneto.
Dopo che la giunta di sinistra che ha guidato la Provincia di Venezia è stata sconfitta nelle ultime elezioni da Pdl e Lega, il Brentan si era trovato in difficoltà a far girare i propri affari.
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Ai suoi amici preoccupati di non riuscire ad avere più i facili appalti che avevano quando la giunta della Provincia era di sinistra, Brentan avrebbe detto che i nuovi amministratori «sono crudini, ma possiamo farcela». Non ce l’ha fatta: la superiorità morale della sinistra non ha trionfato sugli immorali di centrodestra.
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I «conti paralleli» di Lusi «Ecco come riuscì a eludere i controlli» - Corriere.it
I «conti paralleli» di Lusi «Ecco come riuscì a eludere i controlli» - Corriere.it: I «conti paralleli» di Lusi
«Ecco come riuscì a eludere i controlli»
Lite tra gli ex Margherita sul sì «unanime» ai bilanci
I pm indagano su Lusi, ma vogliono capire perché nessuno si accorse di quelle ruberie
I «conti paralleli» di Lusi
«Ecco come riuscì a eludere i controlli»
Lite tra gli ex Margherita sul sì «unanime» ai bilanci
Luigi Lusi (Ansa)Luigi Lusi (Ansa)
ROMA - Per cercare di sfuggire ai controlli, il senatore Luigi Lusi avrebbe creato una contabilità parallela. Un doppio bilancio che adesso potrebbe far scattare nei suoi confronti l'accusa di falso, oltre a quella già contestata di appropriazione indebita. Anche perché le fatture emesse non sarebbero state registrate con la giusta corrispondenza, ma «archiviate» come prestazioni diverse da quelle reali. E quindi senza menzionare quelle finte consulenze da milioni di euro che il tesoriere della Margherita, poi transitato nel Partito democratico, aveva affidato alla sua società «TTT» riuscendo così ad accumulare tredici milioni in tre anni.
Le verifiche estere
Una relazione che ricostruisce queste movimentazioni è stata preparata dai consulenti della Margherita e potrebbe essere consegnata ai magistrati, come anticipa l'avvocato Titta Madia che cura gli interessi dei vertici dell'ex partito, il presidente Francesco Rutelli e il presidente dell'Assemblea Enzo Bianco. Il resto dovranno farlo gli accertamenti della Guardia di Finanza, delegata ad acquisire l'intera documentazione contabile negli uffici di «Democrazia e libertà». L'obiettivo dei pubblici ministeri rimane quello di accertare se ci siano altri reati commessi da Lusi, ma anche stabilire come mai nessuno si sia accorto di queste ruberie. E soprattutto se anche altri politici possano aver goduto dei favori del tesoriere.
È vero che, secondo i primi controlli, la Margherita era l'unico cliente della «TTT», ma a questo punto bisognerà verificare se Lusi abbia utilizzato altre società per la gestione dei fondi e per la loro esportazione all'estero. Oltre alla «Luigia Ltd», di dominio canadese, fra i beneficiari dei suoi bonifici risulta infatti anche uno studio di architettura di Toronto riconducibile alla famiglia della moglie, che potrebbe essere stato usato come veicolo per l'occultamento dei beni.
I bonifici multipli
Il mistero più grande continua comunque a riguardare il ruolo dei Revisori e quello della commissione di Tesoreria che mai hanno notato «uscite» irregolari e hanno stilato relazioni favorevoli all'approvazione, nonostante molti esponenti avessero avanzato dubbi sulla gestione finanziaria di Lusi e il conto corrente fosse passato in meno di tre anni da un saldo di 20 milioni a poco meno di 7. Eppure si trattava - per la maggior parte - di denaro proveniente dai rimborsi elettorali, con alcuni fondi transitati dal Pd. Nonostante questo i rendiconti 2009 e 2010 sono stati convalidati, così come il preventivo relativo al 2011. Le prime verifiche avrebbero consentito di scoprire che Lusi aveva di fatto creato un doppio binario contabile. Per fare un esempio: un'uscita da decine di migliaia di euro verso la sua società sarebbe stata registrata come «spese manifesti» e dunque in maniera da non destare sospetto.
Il tesoriere avrebbe trovato un escamotage anche per occultare quei 90 bonifici - tutti disposti senza superare la soglia di tracciabilità - che gli hanno consentito il trasferimento di fondi dal partito alle proprie disponibilità. Nella «causale» avrebbe infatti inserito la voce «bonifico multiplo» senza ulteriori indicazioni. Lusi era certamente molto esperto nella gestione finanziaria e probabilmente - come sta dimostrando l'inchiesta - molto «creativo». Ma questo non basta al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al sostituto Stefano Pesci per escludere che in questa vicenda possano esserci altri responsabili. Anche perché con il trascorrere dei giorni diventa sempre più fitto il mistero sull'approvazione dei rendiconti.
Il voto compatto
È Arturo Parisi - che si era dimesso dall'Assemblea proprio «per mancanza di chiarezza sulla gestione finanziaria» - a manifestare prima pubblicamente, e poi davanti ai magistrati, i propri dubbi sulla regolarità delle procedure per l'approvazione dei rendiconti. «All'ultima assemblea del 20 giugno scorso - ha spiegato durante il suo interrogatorio - c'è stato il voto contrario di Luciano Neri, eppure il via libera è stato certificato all'unanimità». Ieri arriva il comunicato di smentita di Enzo Bianco che dichiara: «Durante l'assemblea nessuno sollevò dubbi di opacità del bilancio, né i revisori dei conti, né i componenti l'Assemblea. Poiché alcuni lamentarono di non avere potuto visionare tempestivamente la bozza predisposta, la seduta fu sospesa per consentire l'esame richiesto. Il bilancio fu poi, in serata, approvato, vistato dei prescritti pareri, all'unanimità dei presenti. Al momento del voto Neri era assente».
Una versione che il diretto interessato smentisce, e a questo punto è probabile che debbano essere i magistrati a scoprire chi stia mentendo. Afferma infatti Neri con una nota ufficiale: «Nel corso dell'Assemblea ci furono due soli interventi critici, il mio e quello molto netto e completo di Arturo Parisi. Ci fu un solo voto contrario, il mio, mentre Parisi non partecipò al voto. Noi ritenevamo che quelle risorse non ci appartenevano e dunque dovevano essere restituite alla società civile, gli altri erano convinti dovesse esserci una spartizione tra le diverse correnti del residuo attivo, magari utilizzando Fondazioni o Centri studi di riferimento. Ricordo che sulla discussione tra queste due concezioni Gentiloni, opportunamente, affermò che non poteva essere attivato un meccanismo da "spartizione del malloppo". Oggi si comprende meglio il perché della feroce opposizione alle nostre proposte: quelle risorse erano già state "impegnate"».
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«Ecco come riuscì a eludere i controlli»
Lite tra gli ex Margherita sul sì «unanime» ai bilanci
I pm indagano su Lusi, ma vogliono capire perché nessuno si accorse di quelle ruberie
I «conti paralleli» di Lusi
«Ecco come riuscì a eludere i controlli»
Lite tra gli ex Margherita sul sì «unanime» ai bilanci
Luigi Lusi (Ansa)Luigi Lusi (Ansa)
ROMA - Per cercare di sfuggire ai controlli, il senatore Luigi Lusi avrebbe creato una contabilità parallela. Un doppio bilancio che adesso potrebbe far scattare nei suoi confronti l'accusa di falso, oltre a quella già contestata di appropriazione indebita. Anche perché le fatture emesse non sarebbero state registrate con la giusta corrispondenza, ma «archiviate» come prestazioni diverse da quelle reali. E quindi senza menzionare quelle finte consulenze da milioni di euro che il tesoriere della Margherita, poi transitato nel Partito democratico, aveva affidato alla sua società «TTT» riuscendo così ad accumulare tredici milioni in tre anni.
Le verifiche estere
Una relazione che ricostruisce queste movimentazioni è stata preparata dai consulenti della Margherita e potrebbe essere consegnata ai magistrati, come anticipa l'avvocato Titta Madia che cura gli interessi dei vertici dell'ex partito, il presidente Francesco Rutelli e il presidente dell'Assemblea Enzo Bianco. Il resto dovranno farlo gli accertamenti della Guardia di Finanza, delegata ad acquisire l'intera documentazione contabile negli uffici di «Democrazia e libertà». L'obiettivo dei pubblici ministeri rimane quello di accertare se ci siano altri reati commessi da Lusi, ma anche stabilire come mai nessuno si sia accorto di queste ruberie. E soprattutto se anche altri politici possano aver goduto dei favori del tesoriere.
È vero che, secondo i primi controlli, la Margherita era l'unico cliente della «TTT», ma a questo punto bisognerà verificare se Lusi abbia utilizzato altre società per la gestione dei fondi e per la loro esportazione all'estero. Oltre alla «Luigia Ltd», di dominio canadese, fra i beneficiari dei suoi bonifici risulta infatti anche uno studio di architettura di Toronto riconducibile alla famiglia della moglie, che potrebbe essere stato usato come veicolo per l'occultamento dei beni.
I bonifici multipli
Il mistero più grande continua comunque a riguardare il ruolo dei Revisori e quello della commissione di Tesoreria che mai hanno notato «uscite» irregolari e hanno stilato relazioni favorevoli all'approvazione, nonostante molti esponenti avessero avanzato dubbi sulla gestione finanziaria di Lusi e il conto corrente fosse passato in meno di tre anni da un saldo di 20 milioni a poco meno di 7. Eppure si trattava - per la maggior parte - di denaro proveniente dai rimborsi elettorali, con alcuni fondi transitati dal Pd. Nonostante questo i rendiconti 2009 e 2010 sono stati convalidati, così come il preventivo relativo al 2011. Le prime verifiche avrebbero consentito di scoprire che Lusi aveva di fatto creato un doppio binario contabile. Per fare un esempio: un'uscita da decine di migliaia di euro verso la sua società sarebbe stata registrata come «spese manifesti» e dunque in maniera da non destare sospetto.
Il tesoriere avrebbe trovato un escamotage anche per occultare quei 90 bonifici - tutti disposti senza superare la soglia di tracciabilità - che gli hanno consentito il trasferimento di fondi dal partito alle proprie disponibilità. Nella «causale» avrebbe infatti inserito la voce «bonifico multiplo» senza ulteriori indicazioni. Lusi era certamente molto esperto nella gestione finanziaria e probabilmente - come sta dimostrando l'inchiesta - molto «creativo». Ma questo non basta al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al sostituto Stefano Pesci per escludere che in questa vicenda possano esserci altri responsabili. Anche perché con il trascorrere dei giorni diventa sempre più fitto il mistero sull'approvazione dei rendiconti.
Il voto compatto
È Arturo Parisi - che si era dimesso dall'Assemblea proprio «per mancanza di chiarezza sulla gestione finanziaria» - a manifestare prima pubblicamente, e poi davanti ai magistrati, i propri dubbi sulla regolarità delle procedure per l'approvazione dei rendiconti. «All'ultima assemblea del 20 giugno scorso - ha spiegato durante il suo interrogatorio - c'è stato il voto contrario di Luciano Neri, eppure il via libera è stato certificato all'unanimità». Ieri arriva il comunicato di smentita di Enzo Bianco che dichiara: «Durante l'assemblea nessuno sollevò dubbi di opacità del bilancio, né i revisori dei conti, né i componenti l'Assemblea. Poiché alcuni lamentarono di non avere potuto visionare tempestivamente la bozza predisposta, la seduta fu sospesa per consentire l'esame richiesto. Il bilancio fu poi, in serata, approvato, vistato dei prescritti pareri, all'unanimità dei presenti. Al momento del voto Neri era assente».
Una versione che il diretto interessato smentisce, e a questo punto è probabile che debbano essere i magistrati a scoprire chi stia mentendo. Afferma infatti Neri con una nota ufficiale: «Nel corso dell'Assemblea ci furono due soli interventi critici, il mio e quello molto netto e completo di Arturo Parisi. Ci fu un solo voto contrario, il mio, mentre Parisi non partecipò al voto. Noi ritenevamo che quelle risorse non ci appartenevano e dunque dovevano essere restituite alla società civile, gli altri erano convinti dovesse esserci una spartizione tra le diverse correnti del residuo attivo, magari utilizzando Fondazioni o Centri studi di riferimento. Ricordo che sulla discussione tra queste due concezioni Gentiloni, opportunamente, affermò che non poteva essere attivato un meccanismo da "spartizione del malloppo". Oggi si comprende meglio il perché della feroce opposizione alle nostre proposte: quelle risorse erano già state "impegnate"».
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Botte e minacce tra giudici dietro la guerra contro il Cav - Interni - ilGiornale.it
Botte e minacce tra giudici dietro la guerra contro il Cav - Interni - ilGiornale.it: Botte e minacce tra giudici dietro la guerra contro il Cav
Al Csm la lite tra due toghe porta alla luce particolari inquietanti sul caso Agcom-Annozero Un magistrato di Trani: «La gip mi disse che Berlusconi è un dittatore, lo faranno cadere»
di Gian Marco Chiocci - 05 febbraio 2012, 10:55
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dal nostro inviato a Trani
Quando le toghe trescano e inforcano i guantoni pensando a Berlusconi come a un dittatore. Ha dell’incredibile la relazione tra due magistrati sfociata in pestaggi, volti sfregiati, minacce, appostamenti sotto casa, rocamboleschi pedinamenti, irripetibili ingiurie telefoniche, denunce e controdenunce, coinvolgimenti di ufficiali dei carabinieri, persino filmini hard.
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La storia che a Trani è finita a cazzotti e carte bollate ha incidentalmente portato alla luce inquietanti collegamenti con la nota inchiesta Agcom, quella delle intercettazioni selvagge dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Emergerebbero, infatti, retroscena tali da riscrivere la genesi dell’inchiesta del pm di Trani, Michele Ruggiero, finito lui stesso sott’inchiesta al Csm per aver nascosto parte dell’indagine su Berlusconi al procuratore capo di Trani, Carlo Maria Capristo. Per addentrarci in questo ginepraio occorre rifarsi all’ordinanza 163/2011 con la quale la sezione disciplinare del Csm dispone il trasferimento da Trani al tribunale di Matera del gip Maria Grazia Caserta. Nella decisione dell’ottobre scorso si fa presente che il procuratore generale della suprema corte di Cassazione, letti gli atti, ha chiesto la sospensione cautelare delle funzioni e dallo stipendio e il collocamento fuori ruolo organico della dottoressa Caserta. In subordine, il trasferimento d’ufficio, opzione poi scelta dal Csm che la manderà in provincia di Matera dopo aver fatto presente che la gip è indagata a Lecce e che «vi sono serie ragioni per ipotizzare, con ragionevole fondatezza, la sussistenza di fatti posti a fondamento dell’azione disciplinare» posto che «le condotte contestate appaiono (...) sintomatiche di una carenza di equilibrio». Come dire: un gip con poco equilibrio non può stare a Trani, ma può benissimo esercitare a Matera. Nelle motivazioni si parla di una relazione «caratterizzata da atteggiamenti violenti e minacciosi» della gip che «hanno creato disdoro per l’immagine della magistratura» in quel di Trani, dove la storia era divenuta pubblica attraverso un esposto anonimo.
«La verosimiglianza e la credibilità delle prospettazioni accusatorie – continua il dispositivo - sono provate anche dalla documentazione in atti e in particolare dai certificati medici da cui si evincono le lesioni (riportate da Nardi, ndr) di cui alle incolpazioni» e ancora «dal tenore e dal contenuto degli sms, dal fatto che la dottoressa Caserta non neghi, nella sua memoria difensiva, il rapporto conflittuale con Nardi», dando un’altra versione dei fatti.
Le due parti in causa, contattate dal Giornale, hanno rifiutato qualsiasi commento. Anche i testimoni hanno preferito non esprimersi. Parlano le carte, ovvero l’atto d’accusa del giudice Nardi e la controdenuncia della Caserta finita alla procura generale. Nardi la mette così. Spiega che nell’ambito di rapporti di natura personale si sono sviluppati «atti aggressivi, violenti e persecutori» da parte della dottoressa Caserta. Le cose, aggiunge, si mettono presto male. Gli episodi di stalking selvaggio riferiti dall’autore dell’esposto (che fa sempre i nomi dei testimoni dei fatti denunciati) non si contano. E quando Nardi minaccia di rivolgersi al Csm, la gip, a suo dire, fa presente che gliela farà pagare perché lei ha amici intimi a palazzo dei Marescialli. Nardi dice d’aver provato a ricondurla a più miti consigli. Ma il 15 marzo scorso viene raggiunto a Sassari e aggredito a pranzo. «Verso le 14.45 la Caserta piombò letteralmente nel ristorante senza alcun preavviso e dopo avermi strattonato e preso a calci e pugni davanti agli astanti cominciava a insultarmi ad alta voce col solito frasario: figlio di puttana, merda, stronzo. Erano presenti il presidente del tribunale di sorveglianza dottoressa Vertaldi, i presidenti delle sezioni di corte d’appello, l’avvocato generale Claudio Locurto...» e via discorrendo. Proprio l’avvocato, continua Nardi, prova inutilmente a calmare la donna. Dopodiché, fuori dal locale, Nardi è colpito al volto con una borsa. «Cadevo privo di sensi, in una pozza di sangue».
Come da referti medici allegati, Nardi si risveglierà al pronto soccorso: viso sfregiato, 17 punti di sutura per 70 giorni di prognosi. Atti violenti si sarebbero susseguiti anche nei mesi a seguire in più luoghi. Quel che più avrebbe scioccato i componenti del Csm sarebbero però i toni degli sms inviati dalla Caserta. Frasi dettate dal risentimento, che lasciano però interdetti: «Non smetterò di respirare finché non ti avrò visto nel fango», «a suo tempo devi crepare», «So cose su di te con cui posso schiacciarti come un verme, stai attento tu verme e pensa a non fare ingravidare tua figlia da qualche delinquente come te verme schifoso», «pagherai caro, e non per mano mia», «Aspetteremo di vedere il fiorellino che hai a casa (mia figlia di 11 anni, scrive Nardi) da quanti sarà colto, «tanto ci penseranno altri a fartela pagare, e comunque i tuoi figli sono merde come te».
La gip, da parte sua, offre un’altra versione ai carabinieri che hanno appena finito di perquisirla a casa e in ufficio. Riferisce che alla luce dei suoi ripetuti tentativi di lasciare l’uomo, Nardi «implementava la sua attività persecutoria già manifestata in precedenza con minacce di ogni genere (“stai bene attenta, guardati le spalle, ti distruggerò, se mi attraversi la strada accelero”) e iniziava una pressante attività di persecuzione ai miei danni già manifestata in passata con ingiurie, minacce e aggressioni fisiche». La Caserta mette nella denuncia contenuti di alcuni sms e chiosa: «Sinora ho vissuto in un clima di terrore che è aumentato dopo l’arrivo dell’esposto anonimo» ai miei genitori.
Il Csm ha creduto a Nardi, per ora. Le contestazioni della gip sono ora al vaglio della Procura generale. Lo stesso Csm si dovrebbe però concentrare anche sul contenuto di alcune e-mail, tra gli allegati agli atti della controversia, che il terrorizzato Nardi archiviava a futura memoria. Perché in una di queste si dà conto di uno strano presunto episodio che coinvolge la gip e il pm dell’inchiesta Agcom-Annozero, finito lui stesso sotto procedimento disciplinare al Csm per aver nascosto al capo parte dell’inchiesta su Berlusconi.
Accuse gravi, queste di Nardi, che non si possono lasciare appese al dubbio. Perché se è vero quel che dice Nardi, il pm Ruggiero avrebbe riferito alla gip Caserta notizie che non solo non aveva messo a conoscenza del suo procuratore ma ne avrebbe parlato con un potenziale giudice terzo dell’inchiesta. In una e-mail delle ore 9.54 del 22 giugno 2010 Nardi scrive: «La stessa (la Caserta, ndr) mi ha riferito di aver deposto il falso dinanzi al maggiore dei carabinieri nascondendo la circostanza che il dottor Ruggiero, con il quale ha un rapporto confidenziale, nel dicembre del 2009 le disse che stava intercettando Berlusconi e che presto il clamore della vicenda avrebbe fatto cadere il governo. La circostanza mi fu immediatamente riferita dalla Caserta poco prima di Natale del 2009. Ero convinto che avrebbe deposto la verità. Le ho chiesto le ragioni della falsa dichiarazione e lei mi ha risposto che non poteva tradire Michele Ruggiero e che comunque Berlusconi meritava di cadere perché è un dittatore». Il pm Ruggiero, rintracciato dal Giornale, casca dalla nuvole: «Della vicenda fra loro (Nardi e Caserta) so quello che sanno un po’ tutti. Ma una cosa è certa: quello che sarebbe scritto nella mail è assolutamente e totalmente falso. Non solo io non ho riferito niente a nessuno ma queste cose erano coperte da segreto e mai e poi mai le avrei dette, né in ragione della mia professione e nemmeno dal fatto che vi era un rapporto di colleganza o di amicizia».
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Al Csm la lite tra due toghe porta alla luce particolari inquietanti sul caso Agcom-Annozero Un magistrato di Trani: «La gip mi disse che Berlusconi è un dittatore, lo faranno cadere»
di Gian Marco Chiocci - 05 febbraio 2012, 10:55
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dal nostro inviato a Trani
Quando le toghe trescano e inforcano i guantoni pensando a Berlusconi come a un dittatore. Ha dell’incredibile la relazione tra due magistrati sfociata in pestaggi, volti sfregiati, minacce, appostamenti sotto casa, rocamboleschi pedinamenti, irripetibili ingiurie telefoniche, denunce e controdenunce, coinvolgimenti di ufficiali dei carabinieri, persino filmini hard.
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La storia che a Trani è finita a cazzotti e carte bollate ha incidentalmente portato alla luce inquietanti collegamenti con la nota inchiesta Agcom, quella delle intercettazioni selvagge dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Emergerebbero, infatti, retroscena tali da riscrivere la genesi dell’inchiesta del pm di Trani, Michele Ruggiero, finito lui stesso sott’inchiesta al Csm per aver nascosto parte dell’indagine su Berlusconi al procuratore capo di Trani, Carlo Maria Capristo. Per addentrarci in questo ginepraio occorre rifarsi all’ordinanza 163/2011 con la quale la sezione disciplinare del Csm dispone il trasferimento da Trani al tribunale di Matera del gip Maria Grazia Caserta. Nella decisione dell’ottobre scorso si fa presente che il procuratore generale della suprema corte di Cassazione, letti gli atti, ha chiesto la sospensione cautelare delle funzioni e dallo stipendio e il collocamento fuori ruolo organico della dottoressa Caserta. In subordine, il trasferimento d’ufficio, opzione poi scelta dal Csm che la manderà in provincia di Matera dopo aver fatto presente che la gip è indagata a Lecce e che «vi sono serie ragioni per ipotizzare, con ragionevole fondatezza, la sussistenza di fatti posti a fondamento dell’azione disciplinare» posto che «le condotte contestate appaiono (...) sintomatiche di una carenza di equilibrio». Come dire: un gip con poco equilibrio non può stare a Trani, ma può benissimo esercitare a Matera. Nelle motivazioni si parla di una relazione «caratterizzata da atteggiamenti violenti e minacciosi» della gip che «hanno creato disdoro per l’immagine della magistratura» in quel di Trani, dove la storia era divenuta pubblica attraverso un esposto anonimo.
«La verosimiglianza e la credibilità delle prospettazioni accusatorie – continua il dispositivo - sono provate anche dalla documentazione in atti e in particolare dai certificati medici da cui si evincono le lesioni (riportate da Nardi, ndr) di cui alle incolpazioni» e ancora «dal tenore e dal contenuto degli sms, dal fatto che la dottoressa Caserta non neghi, nella sua memoria difensiva, il rapporto conflittuale con Nardi», dando un’altra versione dei fatti.
Le due parti in causa, contattate dal Giornale, hanno rifiutato qualsiasi commento. Anche i testimoni hanno preferito non esprimersi. Parlano le carte, ovvero l’atto d’accusa del giudice Nardi e la controdenuncia della Caserta finita alla procura generale. Nardi la mette così. Spiega che nell’ambito di rapporti di natura personale si sono sviluppati «atti aggressivi, violenti e persecutori» da parte della dottoressa Caserta. Le cose, aggiunge, si mettono presto male. Gli episodi di stalking selvaggio riferiti dall’autore dell’esposto (che fa sempre i nomi dei testimoni dei fatti denunciati) non si contano. E quando Nardi minaccia di rivolgersi al Csm, la gip, a suo dire, fa presente che gliela farà pagare perché lei ha amici intimi a palazzo dei Marescialli. Nardi dice d’aver provato a ricondurla a più miti consigli. Ma il 15 marzo scorso viene raggiunto a Sassari e aggredito a pranzo. «Verso le 14.45 la Caserta piombò letteralmente nel ristorante senza alcun preavviso e dopo avermi strattonato e preso a calci e pugni davanti agli astanti cominciava a insultarmi ad alta voce col solito frasario: figlio di puttana, merda, stronzo. Erano presenti il presidente del tribunale di sorveglianza dottoressa Vertaldi, i presidenti delle sezioni di corte d’appello, l’avvocato generale Claudio Locurto...» e via discorrendo. Proprio l’avvocato, continua Nardi, prova inutilmente a calmare la donna. Dopodiché, fuori dal locale, Nardi è colpito al volto con una borsa. «Cadevo privo di sensi, in una pozza di sangue».
Come da referti medici allegati, Nardi si risveglierà al pronto soccorso: viso sfregiato, 17 punti di sutura per 70 giorni di prognosi. Atti violenti si sarebbero susseguiti anche nei mesi a seguire in più luoghi. Quel che più avrebbe scioccato i componenti del Csm sarebbero però i toni degli sms inviati dalla Caserta. Frasi dettate dal risentimento, che lasciano però interdetti: «Non smetterò di respirare finché non ti avrò visto nel fango», «a suo tempo devi crepare», «So cose su di te con cui posso schiacciarti come un verme, stai attento tu verme e pensa a non fare ingravidare tua figlia da qualche delinquente come te verme schifoso», «pagherai caro, e non per mano mia», «Aspetteremo di vedere il fiorellino che hai a casa (mia figlia di 11 anni, scrive Nardi) da quanti sarà colto, «tanto ci penseranno altri a fartela pagare, e comunque i tuoi figli sono merde come te».
La gip, da parte sua, offre un’altra versione ai carabinieri che hanno appena finito di perquisirla a casa e in ufficio. Riferisce che alla luce dei suoi ripetuti tentativi di lasciare l’uomo, Nardi «implementava la sua attività persecutoria già manifestata in precedenza con minacce di ogni genere (“stai bene attenta, guardati le spalle, ti distruggerò, se mi attraversi la strada accelero”) e iniziava una pressante attività di persecuzione ai miei danni già manifestata in passata con ingiurie, minacce e aggressioni fisiche». La Caserta mette nella denuncia contenuti di alcuni sms e chiosa: «Sinora ho vissuto in un clima di terrore che è aumentato dopo l’arrivo dell’esposto anonimo» ai miei genitori.
Il Csm ha creduto a Nardi, per ora. Le contestazioni della gip sono ora al vaglio della Procura generale. Lo stesso Csm si dovrebbe però concentrare anche sul contenuto di alcune e-mail, tra gli allegati agli atti della controversia, che il terrorizzato Nardi archiviava a futura memoria. Perché in una di queste si dà conto di uno strano presunto episodio che coinvolge la gip e il pm dell’inchiesta Agcom-Annozero, finito lui stesso sotto procedimento disciplinare al Csm per aver nascosto al capo parte dell’inchiesta su Berlusconi.
Accuse gravi, queste di Nardi, che non si possono lasciare appese al dubbio. Perché se è vero quel che dice Nardi, il pm Ruggiero avrebbe riferito alla gip Caserta notizie che non solo non aveva messo a conoscenza del suo procuratore ma ne avrebbe parlato con un potenziale giudice terzo dell’inchiesta. In una e-mail delle ore 9.54 del 22 giugno 2010 Nardi scrive: «La stessa (la Caserta, ndr) mi ha riferito di aver deposto il falso dinanzi al maggiore dei carabinieri nascondendo la circostanza che il dottor Ruggiero, con il quale ha un rapporto confidenziale, nel dicembre del 2009 le disse che stava intercettando Berlusconi e che presto il clamore della vicenda avrebbe fatto cadere il governo. La circostanza mi fu immediatamente riferita dalla Caserta poco prima di Natale del 2009. Ero convinto che avrebbe deposto la verità. Le ho chiesto le ragioni della falsa dichiarazione e lei mi ha risposto che non poteva tradire Michele Ruggiero e che comunque Berlusconi meritava di cadere perché è un dittatore». Il pm Ruggiero, rintracciato dal Giornale, casca dalla nuvole: «Della vicenda fra loro (Nardi e Caserta) so quello che sanno un po’ tutti. Ma una cosa è certa: quello che sarebbe scritto nella mail è assolutamente e totalmente falso. Non solo io non ho riferito niente a nessuno ma queste cose erano coperte da segreto e mai e poi mai le avrei dette, né in ragione della mia professione e nemmeno dal fatto che vi era un rapporto di colleganza o di amicizia».
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